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Macron pensa che Thunberg abbia “posizioni molto radicali”. Ma che vuol dire “radicale”?

Dopo il discorso di Greta Thunberg all’ONU, il presidente francese Macron e il suo governo si sono espressi con parole ferme contro le sue posizioni. Sono “molto radicali”, hanno dichiarato, e “rischiano di deprimere una generazione”. Ma che cosa significa “radicale”? E perché è usato in un’accezione negativa?
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A cura di Giorgio Moretti
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La lingua ci tocca

Senza sapere bene quale sarà la generazione che ne uscirà depressa, è su questo tenore che si sono appuntate le nuove critiche alle posizioni di Greta Thunberg da parte del presidente Emmanuel Macron e del suo governo: sono molto radicali. Certo, le menti più acute potevano intuire che le sue non fossero posizioni tiepide già leggendo il suo libro "La nostra casa sta bruciando", ma diciamo che il discorso all'ONU ha fugato ogni dubbio anche per i più lenti.

Emmanuel Macron tiene molto alla narrazione del suo ruolo d'avanguardia nella lotta al cambiamento climatico, secondo cui persegue miglioramenti rapidi e costanti in maniera compatibile con la crescita economica; ma Greta Thunberg gli rompe le uova nel paniere ponendo, dal podio più in vista del mondo e come unica soluzione, interventi tranchant immediati. Una posizione "radicale". Tralasciando il fatto che posizioni non medie sono essenziali per smuovere l'inerzia peritosa di chi non capisce o non crede a un problema (come è normale nella dialettica democratica), la scelta dell'omologo francese del termine "radicale" è molto interessante per via della sua accezione negativa.

"Radicale" emerge agli albori dell'italiano col significato di "essenziale", un uso figurato che si sviluppa linearmente dalla figura della radice della pianta. Presto si tornisce in significati più complessi, descrivendo ciò che agisce in profondità, sul principio essenziale (pensiamo a un'azione radicale). Proprio da questo punto, da questa azione dagli effetti completi il radicale si avvicina al drastico, all'assoluto, all'estremo: se pensiamo a una cura radicale, di quelle che esclude ricadute, si parla di un'azione incisiva, invasiva. In politica (con la lunga storia dei partiti radicali europei) questo si traduce come una volontà riformatrice accesa, vigorosamente innovatrice e che sostiene una posizione nella forma più rigorosa: curiosamente, oggi se pensiamo alla radicalizzazione pensiamo a persone che diventano integraliste e rancorose, mentre nell'Ottocento si parlava di radicalizzazioni democratiche e progressiste. Tempo che vai, terroristi che trovi.

Il contrasto Macron-Thunberg è rappresentato in maniera eccellente dal termine "radicale" e dalle sue ambivalenze. Sicuramente anche Greta Thunberg ritiene che le sue posizioni siano radicali, lo scollamento avviene nella valutazione se ciò che propone sia necessario o eccessivo. Se necessario, se stiamo già sdrucciolando nella catastrofe, "radicale" è un termine positivo e promettente; se eccessivo, se azioni moderate e intelligenti sono bastevoli, è un termine negativo e deprimente. Corrispondono due scenari molto diversi, da un lato la rivoluzione e l'incognito, dall'altro la riforma e il prevedibile. Da un lato il grande sacrificio, dall'altro il piccolo: ma su quale sia il più facile da fare la risposta non è così scontata, e il radicale custodisce bene i suoi enigmi sibillini. Di certo, il sacrificio è deprimente solo per chi non ha capito in che condizioni versano le nuove generazioni, né che cosa ci aspetta.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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