Luchè: “Il successo non è fatto di stream e soldi. In passato ho pensato di meritare di più”

Luchè ha pubblicato lo scorso 16 maggio Il mio lato peggiore, il nuovo album che arriva a un anno dal ritorno dei Co’Sang con Dinastia: qui l’intervista al rapper campano, a pochi giorni dall’appuntamento allo Stadio Diego Armando Maradona di Napoli il 5 giugno.
A cura di Vincenzo Nasto
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Luchè, via Francesco Galgano
Luchè, via Francesco Galgano

Il mio lato peggiore, il nuovo album di Luché pubblicato lo scorso 16 maggio rappresenta un turning point della carriera del rapper campano. E non solo perché il prossimo 5 giugno sarà impegnato in uno degli appuntamenti memorabili per la sua carriera, ovvero il concerto allo stadio Diego Armando Maradona di Napoli. Sì, perché dopo il ritorno con i Co'Sang in Dinastia, l'arco narrativo intercorso tra Potere, l'arrivo del Covid e l'uscita di Dove volano le aquile, c'è la riflessione sul concetto di vittoria, di ribellione, di analisi critica, ma soprattutto la maturazione artistica. Il mio lato peggiore diventa soprattutto uno stimolo alla riflessione, sull'andare in fondo alle cose e una provocazione che si riflette in Lettera alla pistola alla mia tempia, uno squarcio che quasi delimita le due anime dell'album. Qui l'intervista a Luché.

Partiamo dall'origine de Il mio lato peggiore: come nasce il disco? 

Il disco nasce subito dopo la consegna del disco dei Co'Sang. Avevo qualcosa anche prima, qualche idea, qualche beat. Però nasce, in pratica, a luglio 2024. Consegnato il disco dei Co'Sang me ne sono andato due settimane in America. Ho portato Enzo (Chiummariello, ndr) con me, anche producer e altri artisti. Abbiamo iniziato a scrivere i primi quattro pezzi,  tra cui Miami Vice e Punto G. Poi ad agosto non sono andato in tour anche per questo, insomma per due motivi. Da una parte avevamo due concerti grossi dei Co’Sang a Piazza Plebiscito; dall'altra avevo bisogno di tempo per scrivere i testi, perché già avevo in programma di uscire in primavera. Io non sono così veloce a fare i dischi.

Cosa lo unisce a Potere e Dove volano le aquile, i dischi della tua maturazione?

La persona è sempre la stessa che ami: sono le fasi della vita che cambiano. Potere è un po’ più simile, perché era il momento in cui, dopo il successo di Malammore, mi chiamavano in tutti i dischi, facevo un sacco di DJ set e di serate. Avevo la vibe di chi vive un po’ la vita giorno per giorno.

E poi?

Poi si è calmato tutto con il Covid, Dove volano le aquile era molto più sperimentale e introspettivo. Mi sono successe tante cose, nel bene e nel male, e le ho buttate tutte quante in questo disco: Il mio lato peggiore. È più aggressivo e più sfacciato, però ha anche un’anima molto intima, come al solito. Queste sono un po’ le mie caratteristiche, forgiate dalle esperienze che mi accadono.

In La mia vittoria, il brano con Giorgia e Marracash, viene raccontato anche un momento in cui il successo musicale, anche attraverso gli ascolti, toccano qualcun altro, un passaggio in cui non si viene ricompensati per lo sforzo. Come hai vissuto questo momento?

Credo succeda un po’ a tutti, anche a chi ha traguardi altissimi, è un’emozione o uno stato d’animo che possono condividere la maggior parte degli artisti. C’è un po’ di frustrazione quando c’è quel velo di competizione: si pensa sempre che si meriterebbe qualcosina in più. Quella sensazione va messa in prospettiva, perché a volte non è vero: a volte noi artisti vediamo le cose in una realtà distorta rispetto a quello che c’è là fuori. Poi, come dice il pezzo, ognuno ha la sua vittoria, singolare, personale. Io ho ragionato su di me: il concetto di vittoria non deve essere uguale per tutti. Non deve per forza essere legato ai dischi venduti, ai platini, ai soldi o ai concerti.

Qual è la tua vittoria?

La vittoria può essere anche interna, personale: quella di essere diventato una persona di cui essere anche un po’ orgoglioso. Sapere che uno ci ha messo tutto in quello che fa e ci ha dedicato una vita intera: questa, secondo me, dovrebbe già darci una soddisfazione, al di là del risultato. Io posso parlare per me: alterno momenti di euforia, in cui sono felice e mi sento al top del mondo, a momenti in cui ho dubbi sul mio successo o magari vengo frainteso. È un’altalena, ma è giusto che sia così, perché da lì traggo altre idee.

Da questo punto di vista, è stato sano avere un concetto di vittoria e sconfitta nella carriera, nella musica, nei risultati?

Più che sano, è stato utile. Sano no, ti dico la verità. Chi mi conosce lo sa, ci sono stati momenti in cui sono stato pesante. Per me vivere di questa roba era diventava un’ossessione. Infatti poi ho dovuto trovare un equilibrio tra la mia vita privata e il lavoro, perché per me è sempre stato un tutt’uno. Quindi sano no, però utile sì: mi ha fatto crescere sia come persona che come artista. Nei momenti di calma, quando ragionavo in maniera più lucida, mi uscivano spunti e idee: direi utile. Alla fine, se potessi scegliere tra una vita calma, piatta, senza spunti creativi, e una vita molto turbolenta emotivamente, ma con tanti spunti, sceglierei sempre la seconda, a mio discapito, ma almeno mi dà qualcosa in più da raccontare.

Tra le tracce emotive di quest'album c'è un forte senso di ribellione: voglio capire cos’è per te la ribellione, soprattutto in questa fase della tua vita?

La ribellione ha tante fasi. C’è quella adolescenziale, con cui abbiamo iniziato: la forza di voler raccontare tutto il degrado della nostra periferia, le cose che ormai tutti sanno e di cui abbiamo parlato tante volte, poi cambia. Però la ribellione nasce con te: o sei un ribelle di natura o non lo sei, non puoi inventartelo, è una caratteristica del carattere e della personalità. A me piace sempre mettere in discussione tutto, perché c’è sempre più di una risposta a una domanda: non c’è sempre un solo lato in cui guardare. Essendo una persona curiosa, mi stimola andare un po’ più a fondo.

E oggi che cosa rappresenta la ribellione?

Oggi la ribellione vera è andare a fondo nelle cose. Soprattutto in una società dove si pensa poco, per evitare di realizzare quanti problemi abbiamo, sia dentro che fuori, e per cercare di vivere una vita felice quando le circostanze non lo permettono. La ribellione è cercare il pretesto per dire un po’ di verità, quando la verità non è richiesta, è dire qualcosa di scomodo, che però col tempo fa ragionare le persone e porta a un discorso costruttivo. Quindi ci sono tante versioni della ribellione. Però, ad oggi, secondo me, quello che facevano un po' gli artisti dagli anni ’60-’70 fino agli anni ’90 era proprio svegliare un po' il pensiero di chi vuole pensare poco.

Questo ti potrebbe esporre a una forte critica sociale: come ti sei preparato a questo tipo di risposta, soprattutto in questo disco?

Il mio sogno è quello di poter dire tutto quello che mi passa nella testa dandomi, poi, anche la possibilità di spiegarmi: alla fine il discorso ha un senso vero. Il problema di oggi è che si estrapola la parolina e la si fa diventare una news, e questo è un problema della comunicazione di oggi. Quindi dobbiamo cercare di stare attenti a usare le parole giuste, perché l’attenzione della gente è molto breve. Se fai un discorso un po’ contorto, che però poi finisce nel modo giusto, magari viene letto male. Io me la vivo così, cercando, anche grazie all’aiuto dei miei collaboratori, di pensare due secondi prima di dire quello che voglio dire. Non di non dire quello che voglio dire, ma di dirlo in un modo che sia meno attaccabile.

Ti darebbe fastidio essere frainteso?

Non perché io non voglio essere attaccato, perché io sono anche del parere che più polemica si crea, più attenzione arriva, e quindi c’è più potenziale per poter far arrivare un messaggio alla massa. Però il rischio di fare questa cosa è che poi, nella polemica, si perde il messaggio, perché le persone non ti ascoltano per più di 3-4 secondi. E se dici una frase compromettente in quel momento, allora tutto quello che viene dopo rischia di essere ignorato. Per quanto riguarda la critica fine a se stessa, mi scivola addosso, non mi tocca proprio. Quella costruttiva, invece, è sempre benvenuta: io sono per il confronto, ma anche per lo scontro. Perché oggi, secondo me, se vogliamo andare avanti dobbiamo scontrarci. Se facciamo finta che è tutto a posto, che siamo tutti fratelli, tutti uguali, non si cambia mai niente.

Ti sei mai censurato?

No, autocensura proprio no, zero. Ma io preferirei buttarmi giù dal balcone, perché poi a quel punto diventa un lavoro, non è più la mia arte, la mia espressione. Dall'altra parte c’è tanta aria di censura velata in Italia, nella comunicazione. Con l'autocensura io non riuscirei proprio a vivere più, perché sono una persona che ha bisogno di parlare. Oltre a fare dischi, ho proprio bisogno di comunicare. Quindi no, bisogna solo trovare il modo giusto, perché è un peccato non far arrivare il messaggio. Ma io sono proprio contro la censura. Devo dire la verità: sono anche contro questo caos enorme che si crea quando tutti parlano. Ci sono persone che, secondo me, forse sarebbe meglio se ascoltassero.

Voglio ritornare sull’album: "Ho vinto su tutto tranne che sulla solitudine".

È una sensazione che hai in quel momento in cui ti senti un po’ perso, in una società che non vuole ascoltare più, che non vuole lottare più, che non si vuole impegnare. Vengo da una generazione in cui si dicevano cose pesanti, che avevano un impatto grosso sulla società. Ma nel mio piccolo, al di là dei pezzi più club, dei pezzi che spaccano per le discoteche, dei pezzi più intimi, ci sono anche quelli dove ogni tanto arriva la frase dura, la frase tosta. E a volte mi sono perso nei miei pensieri, nei miei dubbi, nelle mie paranoie.

Come ti sei sentito?

Quando ti arrivano, nel processo creativo, un po’ sei vulnerabile mentre stai facendo un disco. Mi sono sentito solo in una società che mi sembra estremamente superficiale. Tutti abbiamo un lato più leggero, e io lo metto anche nei dischi, però bisognerebbe avere anche un lato più coscienzioso, più impegnato. Io vorrei una società di gente che si diverte, che si gode la vita, ma che legga pure, che approfondisca le cose, che abbia una critica un attimo più spiccata. Non facciamo vincere sempre la mediocrità. Cerchiamo di far vincere anche chi si impegna veramente nelle cose, chi cerca di portare un prodotto o un concetto un attimo più elevato. Secondo me, la gente viene stimolata poco e arrivano anche pochi stimoli da chi invece dovrebbe lanciare dei segnali, dei messaggi. E allora penso: siamo in pochi che cercano di fare le cose a un livello alto, che possa essere il sound, la provocazione, il messaggio, il cinema. Secondo me, l’Italia, come storia e come popolo potrebbe fare molto di più. E quella solitudine a volte mi colpisce.

Qual è la reazione a quella solitudine? Che lavoro è stato fatto?

Ho fatto un lavoro su me stesso molto profondo, per cambiare approccio e trovare il mio ruolo in questa società, in un modo però che non sia autolesionista. Nel senso che a un certo punto iniziavo a colpevolizzarmi, invece no, devo essere fiero di quello che sono, devo trovare il mio posto e la formula per convivere, e anzi, nella mia reazione, trovare la spinta per fare quello che devo fare. In un passaggio del disco canto: "Se non porti la soluzione, sei parte del problema". Non vengo qua a lamentarmi di una solitudine ideologica o sociale, di persone che non lottano, non combattono per cercare di migliorare le cose senza poi farlo. Se ti lamenti e basta il discorso parte e si ferma nello stesso punto. Invece io mi sono detto: tu devi essere la persona che vuoi attrarre. Anche quando trovi un cerchio, un partner, una persona, la vuoi in un certo modo, ma prima di volerla così, devi essere tu quella persona. Lo stesso vale per il lavoro: se voglio un mondo artistico più impegnato, più diretto, più rivoluzionario nei messaggi, devo esserlo io per primo.

C'è un passaggio in cui canti "Chi viene dal degrado si fida solo del lusso", in cui sembri ribaltare il concetto di egotrip.

Volevo lanciare una sorta di provocazione, perché la canzone parla di una persona che mi ha fatto un torto, che mi ha deluso, e quindi io reagisco. Parla di come una persona come me reagisce. È una frase a effetto, però lascia un po’ l’amaro in bocca. Da una parte può essere vera, dall’altra può essere fine a sé stessa. Può essere intesa in tanti modi: come chi è predestinato a non avere niente, o come chi invece vuole tutto. Ha diverse interpretazioni.

Poi c'è: "Tu sei stata la mia musa anche nel male, sappi che un tradimento non sempre viene fatto in un letto". Voglio ragionare sul concetto ampio di amore, in questo momento della tua vita: qual è il tuo modo di vivere i rapporti, le relazioni, i sentimenti?

Guarda, essendo cambiato tantissimo e non avendo avuto relazioni nell’ultimo anno, questa risposta la potrò dare in futuro. Però diciamo che il mio approccio sarà diverso, perché ho finalmente realizzato che l’amore problematico, tossico, veniva da me. Non che fosse colpa mia, ma andavo a cercarmi il partner tossico e problematico, perché mi ci rispecchiavo. Adesso ho capito che quello non è amore vero: quello è cercare un rifugio in una persona che ti possa capire, ma non significa amare quella persona. Oggi un rapporto ideale sarebbe sereno. Appena conosco una persona che mi dà quel feeling di essere problematica, non mi viene neanche voglia di approfondire. Ho capito che una situazione molto più tranquilla, ma non vuota o piatta, è positiva, salutare. Un supporto, non un ostacolo. Non può essere una distrazione in questo momento della mia vita.

Un’altra curiosità e mi riferisco a Il giorno dopo, la tua biografia. Mi incuriosisce sapere se scriveresti una parte 2 di ciò che è accaduto in questi anni, e se ci sono dei momenti particolari che sicuramente racconteresti?

Assolutamente sì, gli ultimi 3-4 anni sono stati molto intensi. Già il disco che ho fatto, Dove volano le aquile, non c’è, perché il libro si ferma al Palapartenope, al tour di Potere. In questi anni ci sarebbe tantissimo da dire. Sono stati tre, quattro anni estremamente intensi, belli. Però io non sono il tipo che vuole tornare indietro per cambiare le cose. Non va bene. Sono un po’ fatalista su questo, quindi va benissimo com’è andata. Ci sarebbero molti racconti: il Covid, il rapporto con una sorta di depressione pesante che abbiamo vissuto. Secondo me, per noi artisti, è stata una paura intensa non sapere come sarebbe cambiato il mondo, se le cose sarebbero tornate come prima o meno. Il disco, le critiche, il mio primo tour nei palazzetti che non mi aspettavo – e tante altre cose, un divorzio anche a livello personale: ci sarebbe davvero tanto da raccontare. Non so come lo chiamerei, magari farei uno spin-off: Dopodomani, il giorno dopo.

In quei momenti avresti mai immaginato il rap italiano negli stadi? 

Guarda, io ancora oggi non me lo immagino, perché parliamoci chiaro: ancora non credo che il rap sia un genere che possa arrivare negli stadi. Gli artisti che fanno gli stadi sono quelli che hanno trovato una formula che funziona anche per un pubblico più ampio, quelli che riescono a intonare, a fare i ritornelli un po’ più pop. Nemmeno in America i rapper fanno gli stadi: fanno le arene, i Forum da 15-20 mila posti, a Londra si può arrivare sui 25 mila, 30 mila al massimo. Fare gli stadi, in tutto il mondo, è per chi ha quel fattore X un po’ più pop.

Come ti fa sentire suonare nello stadio di casa?

Io sto provando a fare il Maradona per celebrare un lavoro che io e la mia squadra portiamo avanti da tanti anni. Fare il passo verso gli stadi è una celebrazione. Io ci penserei dieci volte perché voglio fare cose che sono fattibili, giuste. Non voglio caricarmi di una pressione così grossa se non fossi sicuro di poterlo fare. Occhio che anche fare i palazzetti, che oggi pare normale, non è una cosa scontata, anzi è un grande traguardo e va valorizzato. Siamo passati da locali piccoli ai club da 3-4mila posti, non voglio che venga vista come una cosa scontata. Secondo me c’è ancora tanto lavoro da fare.

Veng a int all'infern è un altro outro di Dinastia o è qualcosa prodotto nei mesi successivi?

Sì, è nato nei mesi successivi. Veng a int all'infern è un un pezzo importantissimo, l’ho messo lì perché volevo chiudere il disco con un pezzo molto duro, che mi riportasse alle sonorità dei Co’Sang. Lavorando al disco, mi è arrivato questo beat da un ragazzo americano ed era violentissimo. E ho pensato, ascoltando anche qualcuno che diceva che mancava un po’ di crudezza nel disco dei Co'Sang forse serviva. Secondo me, non è del tutto vero: c’è una cattiveria diversa, ma c’è. Non è un disco felicione, è duro, rappresenta noi oggi. Ci sono anche tracce più poetiche, più di strada. Quel beat, per me, era perfetto per un pezzo super hardcore con Antonio, con cui chiudere l’album. Gli altri album li abbiamo sempre chiusi con pezzi conscious. Questo, che si chiama Il mio lato peggiore, doveva avere un feeling più strong, più duro. Era il pezzo ideale per dare questa sensazione.

Come hai reagito alla risposta del pubblico al monologo delle Iene?

Ti dico la verità: ho cambiato proprio approccio al lavoro. Quando faccio una cosa, diventa degli altri, non ci torno più su. Ho controllato il numero dei commenti, le visualizzazioni, ho letto una decina di messaggi, tutti bellissimi, e basta. Perché, ti devo dire la verità, anche il troppo amore che sto ricevendo dai fan mi carica di un peso. È bellissimo, ma a volte si toccano argomenti molto delicati. Mi rendo conto di quanta sofferenza ci sia fuori, e di quanto possa essere importante una persona che ne parli. Ricevere troppo amore deve avere un limite, perché poi mi mette ansia. Però devo dire che i messaggi erano tutti estremamente positivi, molto caldi e calorosi. Mi fa piacere che le persone si sentano capite. Abbiamo parlato di un tema molto forte, perché quando vai là devi dire qualcosa di forte, altrimenti sprechi un’occasione. Non tutti riescono a pensare a una cosa così drastica.

Che messaggio volevi mandare?

Tante persone stanno male dentro di sé, non hanno la forza di esprimersi. Il messaggio era quello: avere il coraggio di vivere la propria vita, le proprie idee, di esprimersi, di non cercare di omologarsi, di tornare all’individualismo, all’unicità, invece di trovare la forza nell’essere tutti uguali. Il messaggio era anche questo. E la risposta è stata estremamente positiva. Tantissimi ragazzi hanno bisogno di qualcuno che gli dia la forza o l’input per scendere in strada ed essere se stessi. Quindi quei pochi messaggi che ho letto erano così: persone felici di aver sentito quelle parole, di aver trovato un consiglio incoraggiante. La mia reazione è stata: "Ok, stiamo facendo la cosa giusta". Questo disco, tra hit, canzoni d’amore, e anche messaggi, sta aiutando i ragazzi ad affrontare le giornate. Ne sono felicissimo, missione compiuta, secondo me.

Il tour estivo di Luché

5 giugno – NAPOLI – Stadio Diego Armando Maradona
22 luglio – TERMOLI (CB) – TERMOLI SUMMER FESTIVAL c/o Arena del Mare
24 luglio –  ROMA – ROCK IN ROMA c/o Ippodromo delle Capannelle
8 agosto 2025 – RICCIONE (RN) – VERSUS FESTIVAL c/o Parco degli Olivetani
16 agosto – GALLIPOLI (LE) – Raffo Parco Gondar
21 agosto – DIAMANTE (CS) – Teatro dei Ruderi
29 agosto – CASTELLAMMARE DEL GOLFO (TP) – Castellammare Music Fest c/o Piazzale Porto Nuovo
4 settembre 2025 – EMPOLI (FI) – BEAT FESTIVAL c/o Parco di Serravalle
15 settembre 2025 – ASSAGO (MI) – Unipol Forum

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