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L’eredità di Berlusconi: come è cambiata la satira negli ultimi trent’anni

È vero che non si può più ridere di niente? Ed è vero che la satira è morta? Eppure la stand-up comedy e i social dimostrerebbero il contrario. Ma allora Berlusconi come ha fatto a cambiare (anche) tutto questo?
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Non vi è dubbio: ridere ha un importante significato etico. E la satira ne è, forse (qui il dubbio lecitamente si insinua ma solo per il timore di risultare dogmatico), l’espressione più alta se non necessaria. Persino la Corte di Cassazione lo ha affermato, fornendo una definizione giuridica di satira: “È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di ‘castigare ridendo mores’, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene”. E allora come mai la satira in ogni sua forma sembra essere scomparsa dalle varie forme di trasmissione culturale generaliste?

Forse l’eredità più grande di Berlusconi, è proprio quella di aver modificato letteralmente il paese, di averlo plasmato in quarant’anni di dominio pubblico, politico e privato a sua immagine e somiglianza, perché in definitiva – che lo si voglia o no, che sia vero o meno – siamo tutte e tutti figli di Colpo Grosso e Drive in. La polarizzazione, l’estremizzazione del confronto, la demonizzazione dell’avversario, la versione italiana del self-made man, la televisione come la vediamo oggi, la spettacolarizzazione di qualunque cosa finanche della vita privata, fino ad arrivare a quel che sembra meno ovvio ovvero i social, i Reel, la mini tv di Instagram con il suo zapping-scrolling compulsivo e ossessivo, la fomentazione dell’io, del personalismo, dell’individualismo, della ribellione agli schemi solo per fottere gli altri e non per produrre benessere comune, sono tutte vittorie del Cavaliere. Senza ombra di dubbio. O quantomeno sono parte di un percorso avviato da lui, dalle sue televisioni, dai suoi soci-fratelli-collaboratori-massoni, un percorso simile in ogni suo aspetto al Progetto Rinascita della P2. E di conseguenza è ovvio che abbia cambiato anche la satira o perlomeno l’idea che ne abbiamo.

Con l’editto Bulgaro Berlusconi ha fatto fuori dalla televisione in toto, ogni anima contrastante, ogni voce dissidente, ogni volto che proponesse una riflessione attraverso la risata, inondando però negli ultimi vent’anni la televisione di comicità, onnipresente e opprimente a tal punto fin quasi poi a sparire del tutto. Un po' perché l’assenza di qualità e di una risata alternativa a quella popolare e populista, ha fatto sì che la qualità si abbassasse notevolmente – probabilmente l’ultima grande trasmissione comico satirica è stata L’Ottavo nano del 2001 con Guzzanti (Corrado e Sabina) in stato di grazia e poi lentamente più nulla – e un po’ perché l’avvento dei social ha decisamente cambiato le carte in tavola.

Per i nativi digitali e per la generazione zeta la fruizione dei contenuti deve essere necessariamente istantanea, veloce come un click, più immediata e veloce e – attenzione – non vi è giudizio in questo ma è solo una constatazione di come i tempi siano cambiati e quindi anche la comicità e la satira. Per passare da Instagram a Youtube basta un click, e anche qui la situazione è pressoché la stessa: ci sono centinaia di canali comici che propongono più o meno nello stesso modo (chi più, chi meglio) una certa satira di costume che mette in scena i vari stereotipi dell’italiano medio, passando per le centinai di loro epigoni, di content creator che con il trend del giorno propongono tutti la medesima, identica scenetta priva di alcun contenuto, seppure poi ironicamente è proprio la parola contenuto a identificare quello che fanno e postano.

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Ma la satira? Dov’è finita? Quella feroce de “il Male” o di “Cuore” o de “Il caso Scafroglia”, di “Su la testa”? Molte e molti dicono che la cosiddetta dittatura del politicamente corretto, impedirebbe di esprimersi liberamente e che ormai non si può più scherzare, ridere o far satira su niente. Ma non è vero. Certamente un tipo di satira è stata bandita dalle televisioni proprio a causa di quell’editto di ventidue ani fa ma seppure poi i governi siano cambiati, i vertici Rai anche e la parabola di Berlusconi sia stata un lento declino, nessuno si è premurato di creare uno spazio per la satira, anche se avrebbe potuto.

Eppure essa c’è. E si nasconde subdola tra i meandri dell’internet o della scena della stand-up (astro nascente della nuova comicità) o nel teatro, quantunque nessuno si sia mai veramente preoccupato del teatro, riserva indiana di esseri umani che continuano, nonostante tutto, a coltivare l’ambizione di partecipare a una forma d’arte dal vivo, per persone vive, fra persone vive che interagiscono fra di loro, nel solco di un’antica idea di comunità ormai superata e declassata dalla community. Chi dice che non si può dire più nulla e che siamo tutti schiavi della dittatura del politicamente corretto, evidentemente non ha mai assistito ad uno spettacolo di stand-up in qualche affollatissimo live club o teatro o birreria, dove effettivamente la libertà di pensiero e di espressione è messa alla prova in maniera inequivocabile.

Nei social, abbiamo assistito ad un ritorno della satira, ma sotto una veste diversa. E attraverso l’internet e la sua paradossale libertà, la satira sembrava essere tornata libera – appunto – di esprimere l’esercizio sacrosanto del sentimento del contrario, senza limiti, senza censure, senza deformazioni. E gli esempi negli ultimi anni sono stati tantissimi sia nella forma della sintesi del tweet, che del meme o delle pochissime esperienze video: il Terzo Segreto di Satira su tutti, un collettivo che ha spopolato sul web negli anni dieci fino ad arrivare in rare occasioni anche in televisione, seppure in terza serata, e ad un film e che cito come unico e solo esempio perché sono uno dei volti che negli anni lo hanno contraddistinto, e quindi lo faccio per poter dire, almeno per una volta nella vita, di essere vittima o carnefice del conflitto d’interesse.

Ma purtroppo o per fortuna, i cambiamenti sono oramai all’ordine del giorno, nulla rimane immutevole e i social stessi si sono trasformati in contenitori di contenuti legati a brand, al commercio, e tutto gira intorno ai follower e ad acquisirne un numero sempre più alto, per avere sempre più visibilità, e così siam punto e a capo. E come in televisione o nelle elezioni, si cerca di non deludere lo spettatore medio, di non offenderlo, e nel tentativo di non perderlo inevitabilmente si perde la propria libertà di espressione. Non è sempre così ovviamente ma anche alcuni nomi fra i più noti della stand-up comedy, che era sempre sembrata un’isola felice, una volta divenuti più noti e popolari, propongono una comicità generalista, che colpisce un po’ tutti ma non fa male a nessuno, qualcuno la definirebbe satira di costume, con la complicità di un linguaggio leggermente più acceso e volgare di quello che si sentirebbe in tv, per mascherarsi da liberi satiri parlanti che non sono. Ovviamente non farò i nomi solo perché sono colleghi e voglio continuare a lavorare.

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Quindi qual è questa eredità di Berlusconi che ha cambiato la satira? Di certo è la sua più grande vittoria: aver minimizzato, azzerato, ridicolizzato la dissidenza, averci resi convinti che la politica sia tutto uno schifo, tutto un magna magna sempre e comunque e che la politica in quanto zozzeria non sia degna di interesse, ci ha disabituati all’esercizio della critica costruttiva, del confronto creativo, ci resi tutti o buoni o cattivi e chiaramente ci crediamo tutti buoni, tutti possessori della verità e quando ascoltiamo qualcuno o qualcuna che propone una versione alternativa alla nostra, semplicemente non lo accettiamo.

E poi, non si dovrebbe mai dimenticare che la satira, la vera comicità si cibano del dramma: Jannacci diceva che "il comico è tragico altrimenti non sarebbe comico": "Io so a memoria la miseria, e la miseria è il copione della vera comicità. Non si può far ridere, se non si conoscono bene il dolore, la fame, il freddo, l’amore senza speranza… e la vergogna dei pantaloni sfondati, il desiderio di un caffelatte, la prepotenza esosa degli impresari, la cattiveria del pubblico senza educazione. Insomma non si può essere un vero attore comico senza aver fatto la guerra con la vita". Questa dichiarazione d’amore alla comicità appartiene a Totò. Il comico, a differenza del tragico, è crudele, perché il tragico ci mostra la grandezza dell’uomo, mentre il comico ci mostra le piccolezze, la miseria, proprio che siamo esseri sciocchi, vulnerabili e ridicoli. I veri comici sono rarissimi, raccontano la morte per ridere della vita.

Mentre invece oggi è tutto uno scrollare di vite meravigliose, di momenti irripetibili, “just breath”, di artifici per sembrare sempre più belli, sempre più felici, sempre più performanti e la satira o la vera comicità difficilmente puo’ trovar posto fra tutti questi miasmi. D’altronde come dicevano in Boris (uno dei più grandi e irripetibili esempi di satira seriale scritto dal compianto e indimenticato Mattia Torre) “questa è l’Italia del futuro, un paese di musichette mentre fuori c’è la morte". I tempi però cambiano, sempre, continuamente e la satira è uno dei mestieri più antichi del mondo.

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