Le-One, da Sfera Ebbasta a Nessuno: “Pensavano fossi un vandalo, ma volevo solo fare musica”

Le-One, nome d'arte di Gaetano Di Maio è uno dei nuovi volti della scena rap campana: dopo il grande successo di Addo Staje, ma anche N'ata vot e Caribe 2 con Villabanks, ha pubblicato lo scorso 11 aprile Nessuno, il suo primo Ep. All'interno le produzioni anche di Christian Liguori e Junior K, con successi da oltre 30 milioni di stream. Nell'intervista racconta l'adolescenza a Nocera Inferiore, un paesino in provincia di Salerno, il rimorso di aver abbandonato la scuola e la gavetta che l'ha portato ad aprirsi a un pubblico da quasi 60 milioni di persone. Poi l'aneddoto sulla nascita del suo nick, con la complicità di Sfera Ebbasta e il feat da sogni sul palco di Sanremo. Qui l'intervista a Le-One.
Com'è nata la tua passione per l'hip hop e cosa ti faceva sentire rappresentato?
È una passione che ho sin da piccolo: avevo 11 anni e già facevo i graffiti, mi piaceva girare con lo skate. Non avevo mai pensato di voler fare musica, anche se gìa ascoltavo rap.
Poi cos'è cambiato?
Poi ricordo tra i 12 e i 13 anni iniziai a pensare: è arrivato il momento di scrivere quello che penso. Da lì in poi volevo anche iniziare a registrarmi: poi ho cominciato a seguire degli artisti e a voler diventare come loro. È stata una crescita completa nel mondo dell'hip hop.
E invece com'è stato cominciare questo viaggio a Nocera, una città di provincia?
È sicuramente un ambiente e una mentalità chiusa, anche perché quando cresci in provincia è sempre peggio. Ma già da quando facevamo i graffiti, le persone ci indicavano come dei vandali. Eravamo visti come ragazzi che stavano crescendo "male": quell'aspetto mi ha dato la forza di voler fare di più.
Quando la musica non è diventato solo un sogno, ma un obiettivo?
A 14 anni. Sapevo che un giorno avrei fatto musica, anche se non è stato facile.
C'è qualcosa a cui hai dovuto rinunciare?
La scuola: è l'unica cosa di cui mi pento. Ho fatto solo il primo anno delle superiori, dal secondo anno non ho più frequentato.
E poi i risultati?
In un anno abbiamo raggiunto i risultati, ma prima ho fatto la gavetta, tanta esperienza. È stata dura.
Ritorniamo all'inizio: come nasce il nome Le-One e cosa c'entra Sfera Ebbasta?
Avevo 12-13 anni e avevo un profilo social, anche perché, in quel momento storico, tutti i rapper stavano cominciando ad avere grandi numeri lì. Il mio nome d'arte era Leone, come il mio segno zodiacale. Durante il boom delle dirette, io da fan di Sfera Ebbasta gli chiedevo nei commenti di salutarmi, e visto che non potevo mettere il mio nome intero, ho dovuto scriverlo Le-One.
Lui lo lesse?
Sì, vide il mio commento e mi saluto: ‘Ciao Le-One' (con la pronuncia inglese n.d.r)
L'hai più sentito Sfera?
Sono andato a trovarlo al suo concerto a Roma e ci siamo visti, ma non ci siamo sentiti.
Cos'è cambiato con il successo di Addo Staje?
Mi ha dato tante lezioni sull'amicizia. Dopo esser diventati un po' più conosciuti, ci sono delle persone che non mi salutano nemmeno più. Allo stesso tempo, ho avuto accanto chi mi ha dimostrato di essere un fratello.
E le persone che non ti conoscevano?
Incominci a diventare per loro un personaggio, c'è chi in strada ti abbraccia, chi piange: questo è bellissimo.
Senti di esser già riconoscibile?
Sì, anche perché la maggior parte delle date che stiamo facendo sono al nord. Per esempio, mi è capitato di incontrare ragazzini al Duomo a Milano, ma anche una storia in taxi. Un ragazzino mi aveva visto mentre stavo tornando a casa e ho fatto fermare il tassista per fare la foto insieme a lui. È la mia attitudine, a me piacciono i fan, li coccolo. Un artista senza fan è come un calciatore senza un pallone.
E con i protagonisti della scena che rapporti hai?
È bello esser riconosciuti da artisti big attuali. Ho fatto una serata insieme a Tony Boy, e mi disse che ascoltava sempre Parente. È una cosa reciproca, anche perché ascolto sempre la loro musica, la stimo tantissimo. Personalmente stimo anche Paky, Shiva.
Senti che sia possibile cambiare, alcune volte, anche la narrazione dell'egotrip? Dare anche un messaggio diverso?
È un gioco tra il dare e il togliere: per adesso stiamo facendo brani per far affezionare il pubblico al mio personaggio. Quando poi accade, e sei bravo, puoi mandare anche altri messaggi, anche perché poi hai delle persone che ti ascoltano.
Quanto pesano i numeri e le classifiche?
Sicuramente è importante avere dischi d'oro e di platino, ma è ancora più bello farli con un tema importante.
Hai 60 milioni di ascolti, quindi hai una responsabilità?
Per questo voglio studiare, acculturarmi, per poter portare un concept mio. È un processo per cui fai la musica che ti piace e il pubblico ti segue, si adatta a te.
Quali sono i tuoi ascolti?
Ci sono periodi in cui ascolto Enzo Avitabile, Pino Daniele, Tiziano Ferro, Vasco Rossi. Poi arrivano periodo in cui sento musica brasiliana, ma anche italiana, per esempio il neomelodico. Prendo un po' da tutto.
Dove speri di essere tra un anno?
Sempre qui, con la stessa fame e spero su qualche palco importante.
Il feat dei sogni?
Immagino al Festival di Sanremo con Tiziano Ferro, qualcosa che entra nella storia.
Intervista in collaborazione con Francesco Raiola.