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Festival di Sanremo 2021

La leggenda di Colapesce, che ha ispirato il nome d’arte di Lorenzo Urciullo

Assieme a Dimartino, sul palco dell’Ariston, Colapesce sarà in gara a Sanremo 2021. Non tutti sanno che il nome d’arte di Lorenzo Urciullo trae ispirazione da una leggenda molto diffusa in tutta l’Italia meridionale, in particolare in Sicilia, che si perde nei secoli e che arriva dal mito di un ragazzo-pesce che sorreggerebbe l’isola sulle sue spalle. Con una variante che fa invece riferimento alla sirena Partenope e porta fino alle acque del golfo di Napoli…
A cura di Redazione Cultura
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Colapesce, nome d'arte di Lorenzo Urciullo, è uno dei big in gara a Sanremo 2021. Senza dubbio si tratta di uno dei cantautori più interessanti dell'attuale panorama musicale italiano. Quello che non tutti sanno è che il nome Colapesce è ispirato a una leggenda molto diffusa in tutta l'Italia meridionale, nelle sue varianti siciliana (terra da cui Urciullo proviene) e napoletana. Secondo tale leggenda, diffusa soprattutto nell'isola sicula, Colapesce sarebbe l'uomo che regge la Sicilia impedendole di sprofondare nel mare.

La leggenda siciliana di Colapesce

Le origini della leggenda di Colapesce, come tutte le leggende, non sono chiare e si perdono nella foschia dei secoli. Per taluni risalirebbe al tredicesimo secolo, per altri bisogna invece andare più indietro, fino a risalire alla tradizione omerica. Figlio di una modesta famiglia di pescatori di Capo Peloro, a Messina, il giovane Nicola, detto Cola, amava il mare e suoi abitanti più di qualsiasi altra cosa al mondo. Per questa ragione tsi dedicava a lunghe immersioni durante le quali esplorava i fondali marini per conoscerne ogni segreto. Questa sua caratteristica, considerata dai più un po' stramba, faceva ritenere agli altri abitanti del paese, che Cola fosse matto, anche in virtù dei suoi continui racconti su strane creature marine e scoperte incredibili sui fondali del mare siciliano.

Venendo da una famiglia di pescatori, la sua difesa coraggiosa delle creature marine e dei pesci fece incollerire sua madre che lo maledisse, augurando al figlio di trasformarsi anch’egli in pesce. La pelle di Colapesce diventò squamosa e le mani e i piedi presero ad assomigliare a delle pinne. Tuttavia la fama del ragazzo-pesce divenne sempre più grande, fino ad arrivare al re Ruggero, il quale volle conoscerlo per metterlo alla prova.

Prima una coppa d'oro, poi la corona, Colapesce superò una alla volta le prove con cui il re gli chiese di scendere in fondo al mare, tuttavia da una di queste Cola fece ritorno riferendo di aver scoperto che la sua Sicilia poggiava su tre colonne, la prima intatta, la seconda scheggiata, mentre la terza versava in terribili condizioni, poiché uno spaventoso fuoco sottomarino (probabilmente la lava dell’Etna) l’aveva quasi del tutto distrutta. Il re non gli credette e gli impose di ritornare giù, Colapesce si tuffò con un bastone adducendo che, se il bastone fosse tornato a galla bruciato, allora questa sarebbe stata una prova sufficiente dell’esistenza di quel fuoco.

E infatti, si conclude la leggenda, il bastone tornò in superficie bruciato, ma Colapesce non riemerse mai più. Egli, infatti, restò in mezzo al fuoco per sorreggere la Sicilia e, se qualche volte si sente la terra tra Messina e Catania tremare, è soltanto perché Colapesce sta cambiando il lato della spalla con cui sostiene il peso. A testimonianza della leggenda di Colapesce, in Sicilia si tramandano i versi del testo di una canzone che ne racconta, passaggio dopo passaggio, la leggenda:

La genti lu chiamava Colapisci
pirchì stava ‘nto mari comu ‘npisci
dunni vinia non lu sapia nissunu
fors' era figghiu di lu Diu Nittunu.

‘Ngnornu a Cola u re fici chiamari
e Cola di lu mari curri e veni.

O Cola lu me regnu a scandagghiari
supra cchi pidamentu si susteni

Colapisci curri e và.
Vaiu e tornu maestà.

Cussì si jetta a mari Colapisci
e sutta l'unni subitu sparisci
ma dopu ‘npocu, chistà novità
a lu rignanti Colapisci dà.

Maestà li terri vostri
stannu supra a tri pilastri
e lu fattu assai trimennu,
unu già si stà rumpennu.

O destinu miu infelici
chi sventura mi predici.

Chianci u re, com'haiu a fari
sulu tu mi poi sarvari.

Su passati tanti jorna
Colapisci non ritorna
e l'aspettunu a marina
lu rignanti e la rigina.

Poi si senti la sò vuci
di lu mari ‘nsuperfici.

Maestà! ccà sugnu, ccà
Maestà ccà sugnu ccà.
‘nta lu funnu di lu mari
ca non pozzu cchiù turnari
vui priati la Madonna
ca riggissi stà culonna
ca sinnò si spezzerà
e la Sicilia sparirà.

Su passati tanti anni
Colapisci è sempri ddà
Maestà! Maestà!
Colapisci è sempri ddà

La leggenda napoletana di Colapesce

Esiste poi nella leggenda di Colapesce, anche una versione napoletana. Ci viene riportata da Benedetto Croce in ‘Storie e leggende napoletane' ed è documentata dalla presenza di un bassorilievo di epoca classica rappresentante Orione, venuto alla luce durante gli scavi per le fondazioni del Sedile di Porto. Nella tradizione partenopea, come in quella siciliana, Cola è un ragazzo maledetto dalla madre per le sue continue immersioni. Finisce per diventare esso stesso pesce e squamarsi, cercando rifugio nel mare, usando il corpo di grossi pesci dai quali si faceva inghiottire, per uscire all'arrivo tagliandone il ventre.

La leggenda in salsa partenopea trae origine dal culto tardo pagano dei figli di Nettuno, cioè dei sommozzatori dotati di poteri magici, in grado di trattenere il respiro in apnea per poterne carpire i tesori e i segreti. Costoro acquistavano i poteri magici accoppiandosi con misteriosi esseri marini e con l'aiuto della sirena Partenope.

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