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Ottant’anni fa la guerra civile spagnola

Il 17 luglio 1936 le truppe dell’esercito spagnolo, al comando del generale Francisco Franco, insorgono contro la Repubblica. Scoppia la guerra civile in Spagna che presto si trasforma in uno scontro tra i due opposti campi ideologici: comunisti e nazifascisti. Le grandi democrazie europee, intanto, fingono di non vedere.
A cura di Marcello Ravveduto
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Le truppe dell’esercito spagnolo di stanza in Marocco, al comando del generale Francisco Franco, insorgono il 17 luglio 1936 contro la Repubblica, retta da un governo delle sinistre unite nel Fronte popolare (una coalizione composta da repubblicani, socialisti, comunisti e anarchici) che ha sconfitto nelle elezioni tenutesi lo stesso anno il Fronte Nazionale (l’unione dei partiti conservatori e monarchici d’ispirazione cattolica). Il distacco tra destra e sinistra è circa il 2% ma la legge maggioritaria consente al Fronte popolare di ottenere il controllo delle Cortes.

Il generale Franco già a fine luglio controlla buona parte dell’Andalusia, mentre il generale Emilio Mola con le sue truppe ottiene in breve il controllo delle regioni nord occidentali. La Repubblica è assediata a nord e a sud. Il suo spazio vitale si estende essenzialmente tra Madrid e Barcellona.

La reazione dell’esercito si scatena in seguito alle violenze perpetrate dai militanti delle sinistre che assaltano le proprietà ecclesiastiche, i fondi privati dei benestanti e aggrediscono le formazioni paramilitari dei falangisti, già sul piede di guerra. Ma non basta; ben presto, le differenze ideologiche tra i vari partititi e movimenti del Fronte popolare si trasformano in veri e propri scontri di piazza che coinvolgono la Federazione Anarchica Iberica e il sindacato socialista de la Unión General de Trabajadores.

L’origine del dissidio è dovuto al diverso modo di interpretare il potere esecutivo: gli anarchici vogliono mobilitare i braccianti per innescare una rivoluzione sociale che elimini la proprietà privata, i socialisti lavorano all’approvazione di una riforma agraria che conceda ai contadini diritti e libertà al fine di sollevarli dal servaggio semifeudale in cui sono tenuti dai latifondisti.

Per i miserabili lavoratori della terra il nemico principale è la Chiesa cattolica che tiene sotto scacco lo Stato in quanto maggiore proprietario terriero nazionale, al quale sono cocessi privilegi medievali nei confronti della forza lavoro e delle comunità locali, anche in virtù del ruolo cardine nell’ambito della pubblica d’istruzione. Potere economico e controllo sociale sono nelle mani della Chiesa il cui integralismo allunga le spire fin dentro i meccanismi legislativi, esecutivi e giudiziari. L’arrivo al potere del Fronte popolare eccita la speranza dei contadini poveri e dei braccianti di ottenere l’espropriazione e la collettivizzazione dei latifondi di proprietà ecclesiale. Un meccanismo perverso che si trasformerà in una vera e propria caccia al prete come capro espiatorio a cui far pagare le sofferenze di una secolare miseria.

Il sangue versato dai parroci e la ferocia dei campesinos affamati spinge il clero, con l’avallo del Vaticano (per il quale la Spagna, dopo l’Italia, è il paese più importante nello scacchiere delle nazioni cattoliche), ad allearsi socialmente e militarmente con i falangisti, ritenuti, per altro, i naturali difensori degli interessi della Chiesa in quanto appartenenti alla classe dei latifondisti.

L’Alzamiento del generale Franco da un lato sottrae gran parte delle forze armate alla Repubblica, dall’altra accelera la persecuzione dei sacerdoti poiché l’organizzazione militare, senza un esercito regolare, passa nelle mani dei sindacati operai e dei comitati rivoluzionari popolari. Tra il 18 e il 31 luglio 1936 sono uccisi 861 sacerdoti. Nel mese di agosto ne vengono assassinati altri 2.077, compresi i vescovi di Siguenza, Lérida, Cuenca, Barbastro, Segorbe, Jaén, Tarragona, Ciudad Real, Almeria e Guadix. Alla fine del 1936, il numero dei religiosi soppressi è di circa 6.500 unità, per poi scemare e concludersi quasi del tutto nel corso del 1937.

Concluse le ostilità mancheranno all’appello 6.832 persone, ovvero il 13% dei sacerdoti e il 23% dei religiosi di tutta la Spagna. Va detto, infine, che le esecuzioni sono concentrate nelle zone del governo repubblicano.

Cosicché la guerra civile spagnola è giustificata dalla Chiesa come una crociata da condurre contro i portatori di odio, soldati dell’Anticristo venuti a creare il caos sulla Terra. Uomini assetati di sangue, privi di ogni regola morale. La Croce, sia come simbolo cristiano, sia quale emblema della sofferenza umana, diventa il segno unificante dei nazionalisti spagnoli. Papa Pio XI, il 14 settembre 1936, parlando di fronte a 500 profughi spagnoli, esprime il suo dolore per la persecuzione e l'ammirazione per quanti sono stati braccati e maltrattati o che hanno dovuto soffrire il supplizio del martirio.

Tutta la pubblicistica dell’epoca, a cominciare dai testi della propaganda fascista, si concentra sulle violenze e le sopraffazioni dei «rossi» dei quali viene messo in rilievo la mancanza di umanità e la frammentazione ideologica, che connota l’assenza di cameratismo e del sentimento di amicizia. Al contrario i cattolici spagnoli, e non solo, pur abborrendo la guerra e i soprusi, non possono esimersi dallo schierarsi con le truppe del caudillo Franco. La crisi spagnola, insomma, è presentata, e viene recepita, come il risultato dell’abbandono dei valori tradizionali (Dio, Patria e Famiglia) causato dall’affermazione delle dottrine politiche che vogliono sovvertire il «naturale» ordine gerarchico della società civile.

I «rossi» sono gli “agenti patogeni” di una malattia cancerogena che porta alla distruzione della comunità nazionale che s’identifica con i sacri valori della religione. Il turbinio propagandistico confonde in un tutt’uno la politica, la religione, l’ideologia e le tradizioni popolari squalificando le istanze di libertà e le richieste di sacrosanti diritti che provengono dalla massa di donne, uomini, bambini e anziani condannati ad un penoso destino di fame e angoscia.

La guerra civile nazionale, perciò, si trasforma in uno scontro di civiltà a cui prendono parte i principali competitori dei due opposti campi ideologici: comunisti e nazifascisti. Quando ormai il conflitto è inarrestabile scendono in campo dalla parte di Franco l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler, dalla parte della Repubblica l’Unione Sovietica di Stalin e il Messico, governato da un partito rivoluzionario aderente alla Terza Internazionale.

Le due principali democrazie europee (Francia e Inghilterra) preferiscono non intervenire per paura di essere trascinate in una guerra di vaste dimensioni. In quel momento il governo britannico e quello transalpino farebbero di tutto (come dimostreranno a monaco nel 1938) per scongiurare uno scontro in armi. Ma se la Gran Bretagna può trincerarsi dietro il suo isolazionismo, la Francia, al contrario, è in forte difficoltà poiché la Spagna è un paese confinante e alla guida del paese c’è una coalizione di forze riunita anch’essa sotto l’insegna del Fronte popolare.

Hitler, dal suo canto, vuole impedire che le due nazioni governate delle sinistre possano occupare l’occidente europeo, rafforzandosi vicendevolmente. Il suo intervento è una scelta tattica tesa ad indebolire la Francia, prossima preda nelle mire espansionistiche del Führer. Inoltre la guerra civile gli offre l’occasione di mettere alla prova gli armamenti militari di nuova produzione con la possibilità di sperimentare, il 26 aprile 1937, per la prima volta in una guerra, un attacco areo sulla popolazione civile inerme. La distruzione della città basca di Guernica rimarrà imperituramente immortalata dal genio di Picasso.

Stalin appoggia, invece, più o meno apertamente i repubblicani, inviando prima finanziamenti, armi, equipaggiamenti, aerei da combattimento e, in seguito, anche mezzi corazzati (con alcune unità di carristi sovietici) e commissari politici. Tra i commissari c’è anche un giovane Palmiro Togliatti che, insieme agli altri inviati sovietici, lavora alla eliminazione di tutte le forze non allineate all’Internazionale comunista. Si genera, così, una faida interna che spacca il Fronte popolare al punto da creare un secondo conflitto civile tra comunisti e socialisti da un lato e anarchici e trotskisti dall’altro. Barcellona è l’epicentro della battaglia intestina e ancora oggi, sui palazzi liberty de La Rambla, è possibile scorgere i fori dei proiettili provocati dalla follia dell’integralismo ideologico. La vicenda è ricostruita con passione da Ken Loach nel film “Terra e Libertà”.

Mussolini non ha mezzi da offrire e così ci mette gli uomini della Milizia volontaria che tanto volontari non sono. Deve fare bella figura con il Papa e poi Franco e i falangisti si ispirano al modello della dittatura fascista. Inoltre, la stipula dell’Asse Roma-Berlino, il primo patto di amicizia stretto tra i due paesi, prevede proprio la partecipazione congiunta alla guerra civile spagnola.

Ma gli italiani in campo non sono solo quelli inviati dai fascisti. Molti altri arrivano al seguito delle Brigate internazionali composte da volontari antifascisti provenienti da diversi paesi del mondo. I connazionali si riuniscono nella Colonna italiana suddivisa nel battaglione Garibaldi e nelle Brigate Giustizia e Libertà, anticipando la futura divisione degli schieramenti combattenti nella Resistenza. C’è, tuttavia, un’altra singolare anticipazione della guerra partigiana: la battaglia di Guadalajara (8 – 23 marzo 1937). Per la prima volta si trovano gli uni contro gli altri armati italiani fascisti e italiani antifascisti. I secondi hanno la meglio sui primi consegnando alla Repubblica quella che sarà l’unica vera vittoria di tutto il conflitto.

In quei giorni di fine marzo sembra proprio che Carlo Rosselli (volontario azionista delle Brigate Giustizia e Libertà) abbia visto giusto quando, il 13 novembre 1936, alla radio di Barcellona ha detto queste parole: «Ogni sforzo sembra vano contro la massiccia armata dittatoriale. Ma noi non perdiamo la fede. Sappiamo che le dittature passano e che i popoli restano. La Spagna ce ne fornisce la palpitante riprova. Nessuno parla più di de Rivera [il dittatore spagnolo deposto dai repubblicani, ndr]. Nessuna parlerà più domani di Mussolini. E' come nel Risorgimento, nell' epoca più buia, quando quasi nessuno osava sperare, dall'estero vennero l'esempio e l'incitamento, cosi oggi noi siamo convinti che da questo sforzo modesto, ma virile dei volontari italiani, troverà alimento domani una possente volontà di riscatto. E' con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia».

Il richiamo al Risorgimento sarà un altro classico della lotta resistenziale. Ciononostante il primo aprile del 1939, con la resa dell’ultimo drappello repubblicano, Franco dichiara la vittoria finale e si proclama dittatore della Spagna. Dopo 5 mesi l’Europa affronterà un nuovo conflitto, ma questa volta si tratta di una guerra mondiale che muterà il corso dell’intero Novecento.

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