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L’uso terroristico del concetto di realtà

Un saggio del filosofo francese Alain Badiou, “Alla ricerca del reale perduto”, denuncia l’uso intimidatorio del concetto di realtà nei media e propone una riscoperta del reale: il luogo per eccellenza dove trasformare il nostro presente.
A cura di Diego Fusaro
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È recentemente uscita presso l’editore Mimesis la traduzione italiana del libro del filosofo francese Alain Badiou, "Alla ricerca del reale perduto". Libro che mi permetto di consigliare a tutti, anche a chi – come usa dire – non rientrasse nella ristretta cerchia degli “addetti ai lavori”.

Si tratta di un testo importante per varie ragioni. Non da ultimo perché è uno di quei rari saggi che, contro la tendenza oggi dominante, parlano della “realtà reale” e non di astrazioni destoricizzate o di altra filosofia. Tra le molte categorie messe a punto da Badiou nel suo libro ve n’è una che ritengo particolarmente feconda e degna di essere analizzata e meditata. Essa fa, per così dire, da trave dell’intero testo e ne giustifica il titolo. È la categoria dell’uso intimidatorio del concetto di realtà.

In sostanza, Badiou ci suggerisce che il solo concetto di realtà che il nostro tempo pare potersi permettere è di tipo coattivo, intimidatorio o, come egli stesso afferma, terroristico. Badiou parla esplicitamente della “dittatura di un concetto del reale come intimidazione”. E in effetti, nel quadro dell’odierno mondo storico, il lemma “realtà” è sempre più esplicitamente impiegato in maniera intimidatoria e oppressiva, come base terroristica di un’imposizione che, pietrificando il divenire storico, nega la possibilità di alternative rispetto a ciò che effettivamente è.

“Non avrai altra realtà all’infuori di questa”, ci ripetono ossessivamente lo spettacolo televisivo e il circuito giornalistico. La realtà, dunque, viene intesa come presenza data e non trasformabile, come tale da esaurire nei suoi confini l’idea stessa di possibilità. Con l’ovvia conseguenza, niente affatto neutra, per cui alla realtà occorrerebbe adattarsi, adeguarsi, conformarsi: lasciarla essere com’è, senza mai provare a trasformarla in vista di futuri diversi e migliori. È, a ben vedere, il sogno realizzato del potere e della sua aspirazione a mantenersi eternamente egemonico. Cessando di essere concepito come luogo delle possibilità e del divenire, ossia come processo storico connesso all’attività umana, il reale è ideologicamente svilito al rango di pura dimensione di dati che massicciamente riassorbe il possibile nell’effettuale, il futuro nel presente. La realtà diventa, così, una gabbia, una prigione che non consente vie di fuga.

Contro questa visione dominante del reale, Badiou prospetta una riscoperta del reale perduto, ossia della realtà concepita come prassi, come storia e come possibilità: dunque, come passibile di trasformazione. Non mi dilungo sulle sue argomentazioni. Mi limito a dire che, se metabolizzato nell’odierno deserto postmoderno, l’invito di Badiou a mutare la nostra visione del reale permette di compiere, con la sintassi di Spinoza, una feconda intellectus emendatio, di defatalizzare l’esistente e di destrutturare l’ideologia della non modificabilità del presente.

Consente, cioè, di tornare a far risplendere il senso della possibilità trasformativa mediata dal tempo e dall’agire. Il pensiero del possibile è oggi l’unico vero pensiero possibile. Contrariamente alle prospettive del realismo intimidatorio, che risolvono il virtuale nell’effettuale, la realtà non è l’esistente, ma questo insieme con le possibilità che esso custodisce nelle proprie trame.

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Sono nato a Torino nel 1983 e insegno Storia della filosofia in Università. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra, convinto che occorra continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali. Resto convinto che, in ogni ambito, la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell’opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto.
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