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Intervista all’uomo che ha rubato il Klimt a Piacenza

L’incredibile ritrovamento del Klimt a Piacenza si porta dietro una serie di interrogativi: da quanto tempo era lì? Chi lo ha portato? E come ha fatto a non essere visto? Domande alle quali, stavolta, avremo risposta dal pool di investigatori già al lavoro. Nel frattempo, ci accontentiamo del racconto paradossale di Stefano Torre, che anticipò tutti: persino i veri ladri.
A cura di Redazione
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di Gianmarco Aimi

“Io ho rubato il Klimt”. Come scusi? “Sì, insieme ai custodi”. A parlare è Stefano Torre, 54 anni, che all’epoca del clamoroso furto del “Ritratto di signora” sedeva dietro i banchi del Consiglio comunale a Piacenza. Non nuovo a trovare provocatorie – come quando si candidò sindaco proponendo l’installazione di un vulcano e l’abolizione della morte – questa volta può essere preso tremendamente sul serio. Il 7 gennaio 1997, infatti, esattamente un mese prima che il capolavoro del maestro viennese venisse sottratto, Torre, sollecitato dai due dipendenti della Galleria Ricci Oddi, simulò il clamoroso furto dell’opera e, appurata “l’inefficienza di alcun sistema di allarme”, presentò una interrogazione all’assessore Vittorio Anelli protocollata l’11 febbraio dello stesso anno: undici giorni dopo il quadro sparirà per 22 lunghi anni e sarà ritrovato solo martedì 10 dicembre 2019 in un botola dietro alla folta edera del giardino della stessa galleria d’arte, protetto da un sacco nero. Quindi fu una simulazione? “Certamente, però avrei potuto sottrarlo facilmente”.

Un’opera, quella di Gustav Klimt, che ha alimentato una serie infinita di enigmi e misteri, già a partire dalla sua origine. Chi è la ragazza immortalata? Adele Bloch-Bauer, protagonista di un celebre olio su tela realizzato dal pittore nel 1907? Oppure l’amante e musa Alma Mahler? C’è chi ha parlato anche di Ria Munk, che venne ritratta sul letto di morte. Non solo, perché il quadro fu scoperto pochi mesi prima del furto da una studentessa pavese, Claudia Maga, e sotto l’immagine della dama venne trovata una seconda figura: identico soggetto, con in più un cappello e una sciarpa scuri. Questo “doppione” venne identificato in un ritratto eseguito nel 1910, esposto a Dresda nel 1912, pubblicato nel 1917 e da allora dato per disperso. Perché dipingerla due volte, una sopra l'altra? Gli storici non hanno ancora una spiegazione.

Così come in questi 22 anni di esilio forzato, si sono susseguite le segnalazioni, le trattative, gli avvistamenti e le ricostruzioni più bizzarre: come il tentativo di estorsione ai danni del direttore della Galleria, Stefano Fugazza – di cui ricorre in questi giorni il decennale dalla scomparsa, un caso? -, da parte di un soggetto che chiedeva 200 milioni in cambio della restituzione, oppure quando la Bbc pubblicò estratti del diario dello stesso direttore, nei quali si paventava una finto furto del dipinto per pubblicizzare la mostra in allestimento, o la storia di un medium che aveva avvicinato sempre Fugazza proponendogli un incontro con l’altro mondo per reperire tracce utili a ritrovare il quadro, senza dimenticare il racconto del falso Klimt rinvenuto a Ventimiglia in un pacco indirizzato a Bettino Craxi.

Fino a martedì scorso, quando i giardinieri chiamati a potare il rampicante nel giardino della Galleria, si sono trovati tra le mani l’impensabile. Ora le indagini si concentrano sulla botola, così come sul sacco nero dentro cui era avvolto il quadro, che pare riporti ancora la scritta Tesa, la ex municipalizzata piacentina, poi diventata Enìa e successivamente Iren. Un elemento che aiuterà a capire da quanto tempo si trovasse in quell’anfratto. Anche in questo caso, però, le domande si sprecano: da quanto tempo era lì? Chi lo ha portato? E come ha fatto a non essere visto?

Domande alle quali, stavolta, avremo risposta dal pool di investigatori già al lavoro. Nel frattempo, ci accontentiamo del racconto paradossale di Stefano Torre, che anticipò tutti: persino i veri ladri.

Come le venne l’idea di simulare un furto tanto clamoroso?

Partecipavo da tempo agli eventi della Ricci Oddi e a un certo punto fui avvicinato dai due custodi, che mi segnalarono la permeabilità dell’impianto di allarme. Evidentemente avevo suscitato in loro fiducia, siccome mi vedevano spesso. E così mi sollecitarono a presentare una interpellanza in Consiglio comunale, come poi effettivamente feci.

Non solo, perché prima ha parlato di una “simulazione” di furto.

Proprio così. Viste le mie titubanze, i due custodi un giorno mi coinvolsero in una simulazione. Effettivamente era facilissimo bypassare il sistema ed entrare nella galleria per sottrarre il quadro e uscire indisturbati. Il sistema di allarme era congegnato in modo tale che le porte finestre erano monitorate con sensori, ma bastava girarli leggermente per disinnescarli. I custodi, infatti, mi fecero notare che era difficile per loro ogni giorno verificare che i sensori fossero girati nel verso giusto. In più, il dipinto era al piano terra, proprio vicino a una porta-finestra in vetro che portava al giardino, per cui molto semplice da rompere e una ottima via di fuga. Nessun allarme, poi, direttamente sul quadro. Ancora meno in quei giorni, visto che era posto a terra in attesa del trasloco.

E così presentò una interpellanza all’assessore di allora, Vittorio Anelli. Quale fu la risposta?

Paradossale, perché il furto avvenne il giorno prima della risposta orale in Consiglio comunale. Sapevamo già tutti del furto avvenuto, per cui la discussione ha assunto tonalità drammatiche. La sera prima, ricordo, venni chiamato a tarda sera dall’Ansa che mi chiedeva una intervista sul furto e pensai che fosse uno scherzo. Quando capii che era successo davvero, lanciai già allora accuse molto pesanti. Ma il Comune era informato da tempo della scarsa sicurezza dell’edificio, anche il critico d’arte Ferdinando Arisi lo aveva segnalato all’amministrazione.

Che idea si è fatto del furto?

Ho sempre avuto la sensazione che fosse anomalo. Mi spiego meglio. Sono convinto che non sia stato compiuto per rubare l’opera ma per proteggerla. Sembra assurdo, però l’esito di questi giorni dimostra la veridicità di questa tesi e cioè un quadro nascosto da qualche parte e poi riportato. Credo che chi lo ha posizionato in quel luogo, lo abbia fatto pensando di farlo ritrovare senza correre il rischio che venisse rinvenuto da qualcuno che, capendone il valore, lo rubasse a sua volta o, ancora peggio, non capendone il valore lo distruggesse. L’ho sempre sostenuto, anche con gli inquirenti: se volete trovare il Klimt cercatelo in via San Siro.

Ha mai più avuto a che fare con i due custodi che la coinvolsero nella simulazione?

Sono passati 22 anni. So che uno è morto mentre dell’altro ho perso le tracce. Furono i principali indiziati all’epoca, ma le indagini si risolsero con un nulla di fatto.

Una beffa dopo tanto tempo ritrovarlo a pochi metri dal luogo della scomparsa, non trova?

Sì e fa pensare a come, anche in seguito e fino a oggi, non abbiano pensato alla sicurezza. Non solo del Klimt ma di tutte le altre opere della Galleria. Evidentemente, sono andati ancora al risparmio con il sistema di sicurezza perché non c’è uno straccio di telecamera che controlli il perimetro. Non è così costoso, il mio condominio ha un sistema per controllare le biciclette. E qui stiamo parlando di opere di inestimabile valore.

Cosa ha provato alla notizia del ritrovamento?

Una gioia incredibile. Quel furto a me ha prodotto un dispiacere vero. Come se fosse stato rubato qualcosa di importante, non solo per me, ma per tutti i piacentini. Una grande offesa al nostro orgoglio, proprio per le modalità in cui è avvenuto. Nei giorni successivi, poi, io in particolare ero passato da essere considerato un “preveggente” a uno “iettatore”. Oggi, sperando che non sia uno scherzo, è bellissimo che sia di nuovo al suo posto. Adesso ci vuole qualcuno che rubi la Madonna Sistina a Dreda, visto che era stata dipinta da Raffaello per il convento di San Sisto, e la riporti a casa, cioè a Piacenza.

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