In Sicilia la lenta agonia del sito archeologico di Sabucina, le associazioni: “Devastato da erbacce e tombaroli”

Esiste una Sicilia meno conosciuta di quella battuta dai tour operator che si limitano alla rinomata costa, all’Etna o ai templi di Agrigento. È quella dell’entroterra, spesso un territorio aspro che, a causa dei rilievi, rendeva impervia ogni comunicazione, ma terreno di contatto e scambio tra gli indigeni e i Greci sbarcati sull’isola intorno all’VIII secolo a.C. I centri della Sicilia centro-meridionale, della cosiddetta “mesògheia” (terra di mezzo), come Sabucina, Gibil Gabib e Vassallaggi, hanno risentito a diverso grado del rapporto con gli “invasori”. Ellenizzazione, acculturazione, interazione, stratificazione: trovare un termine che definisca la convivenza è complesso, perché le sfumature sono tante.
Il monte Sabucina, a settecento metri sul livello del mare, in provincia di Caltanissetta, domina la valle dell’Imera meridionale, noto come fiume Salso, nel punto in cui si restringe. Il sito archeologico omonimo, quindi, si trova in una posizione strategica, perché difeso naturalmente e perché controllava le vie di penetrazione militare e commerciale verso l’interno dell’antica Sikanìa, la terra dei Sicani. Le prime testimonianze abitative risalgono al bronzo antico, per fermarsi al IV secolo a.C e riprendere nel I-III secolo d.C. È il cuore dell’isola dove, in un contesto naturalistico di rara bellezza, tra ulivi secolari e cave di pietra, sulle pendici del monte compaiono al visitatore i resti di un villaggio sicano ellenizzato che si affaccia su un panorama mozzafiato nel vuoto della rocca.
Eppure Sabucina oggi è un sito coperto da erbacce, vandalizzato, usato per i pascoli abusivi e l’abbandono selvaggio di rifiuti. L’inizio dei lavori di restyling è continuamente procrastinato, le rassicurazioni di finanziamento si accumulano senza concretezza, i percorsi di pubblica fruizione rappresentano un’aspettativa delusa, nonostante le associazioni impegnate nel recupero del luogo denuncino agli enti preposti e sensibilizzino i cittadini. A raccontare il degrado è l’archeologa e insegnante Simona Modeo, vicepresidente di SicilAntica, che poche settimane fa si è recata a Sabucina per un sopralluogo, insieme a Salvatore Granata del Comitato di quartiere Gibil Habib. Alla rete di “SOS Sicilia centrale” aderiscono anche l’associazione Alchimia, la Proloco Caltanissetta Aps, Trinasoteira, Italia nostra Sicilia, più Città, l’associazione archeologica nissena, la rivista di Studi storici siciliani e la Società Dante Alighieri di Caltanissetta.
Professoressa Modeo in che condizioni avete trovato l’area archeologica di Sabucina?
Guardi, una situazione surreale. Arrivati all’ingresso del sito, ci siamo imbattuti in un cancello scrupolosamente chiuso con un catenaccio, ma la rete di recinzione intorno era danneggiata, quindi con la possibilità per chiunque di potersi introdurre all’interno.
Ma il sito è visitabile?
No, è inaccessibile dal 2013. Tuttavia vi entrano addirittura i pastori per far pascolare le pecore. È totalmente vandalizzato, alla mercé dei malintenzionati che entrano e sottraggono quello che gli pare e piace.
E prima di questa data?
Fino al 2013 Sabucina ha usufruito dello status di parco archeologico a sé. A ricordarlo c’è ancora la vecchia segnaletica arrugginita, oltre alla presenza di una casetta dove un tempo alloggiavano i custodi e di un “antiquarium”, che non conservava reperti, ma ospitava i pannelli storico-didattici destinati al percorso conoscitivo per i visitatori.
Dopo che è successo?
Andati via i custodi è iniziato il repentino declino dell’area. Fino al 2019 è la Soprintendenza ai Beni culturali di Caltanissetta ad occuparsene, successivamente è stato istituito il parco archeologico di Gela e, perciò, Sabucina viene inglobata nella sua perimetrazione. Stesso destino toccato a Gibil Gabib, a Vassallaggi, alla miniera di Trabia Tallarita. Ed è così che non è stato più possibile visitare Sabucina, abbandonata al suo vergognoso destino, senza prevedere nemmeno una videosorveglianza o un monitoraggio dei luoghi.
Quindi oggi a chi compete la gestione di Sabucina?
Al parco archeologico di Gela, che però non possiede le risorse economiche e soprattutto umane per poter tutelare i suoi ben ventidue siti.
Impresa complicata.
Sì, tanto è vero che non mi sento di addossare colpe sull’attuale direttrice, da poco subentrata nel ciclico rinnovo delle cariche. Peraltro va anche evidenziato che spesso chi dirige i parchi archeologici non è nemmeno archeologo e quindi non dispone delle competenze e degli strumenti adatti per fronteggiare l’avvilente decadenza. In alcuni casi, poi, come quello del parco archeologico di Gela, non c’è neanche un archeologo in organico. Preferisco, perciò, parlare di croniche responsabilità di un'incuria che adesso è sotto gli occhi di tutti.
Esiste un programma di interventi?
C’è un progetto per la messa in sicurezza dell’area archeologica, annunciato da tempo, ma mai attuato. Tante promesse, tuttavia senza fornire una tempistica precisa. Per dirla breve: quando cominceranno i lavori? Finora solo parole e pochi fatti.
Avete mai denunciato quest’abbandono?
Certo. Dopo aver cercato di dialogare con le istituzioni, sottolineando il danno erariale conseguente agli atti vandalici, e dopo aver lanciato invano un preoccupato allarme per ottenere l’attenzione di istituzioni e opinione pubblica, come “SOS Sicilia centrale”, gruppo al quale hanno aderito varie associazioni del territorio, abbiamo presentato un esposto alla procura di Caltanissetta nel 2020. Speravamo che la magistratura facesse approfondite indagini, dal momento che abbiamo fornito agli inquirenti una corposa documentazione, anche fotografica.
E invece?
I carabinieri hanno interrogato soltanto noi e, dopo la richiesta di archiviazione da parte del pm, basandosi sul presupposto che era impossibile risalire agli autori del reato, tutto si è arenato. Ci siamo opposti all’archiviazione, le indagini sono state aperte per ulteriori sei mesi, ma è stato un buco nell’acqua. La magistratura si è disinteressata al nostro caso. Non è stata garantita né l’individuazione dei colpevoli né la gestione adeguata di un bene culturale, e pubblico, di estremo valore.

Si sono verificate razzie di tombaroli?
Oggi l’erba alta impedisce di vedere, ma è un’ipotesi molto plausibile quella secondo la quale a Sabucina operino scavatori abusivi. Del resto nella vicina Gibil Gabib, lo scorso novembre, sono stati colti in flagrante. La fortuna è stata averli sorpresi e arrestati, ma di sicuro altri loro colleghi, che si recano nottetempo a scavare e trafugare, l’hanno fatta franca.
Nella Sicilia centrale si investe poco o nulla nell’impedire che l’archeologia venga vandalizzata e depredata, perché?
Ignoranza, lassismo. Molti nisseni, ad esempio, non conoscono la loro storia, non sono consapevoli del pregio che ha il loro patrimonio culturale e artistico. Per questo l’associazione SiciliAntica porta avanti da anni un progetto di conoscenza nelle scuole, con lezioni frontali sull’archeologia e sulla tutela, visite guidate nei siti che raccontiamo, attività di survey. E sa cosa accade di bello?
Cosa?
Quando coinvolgiamo i genitori, che accompagnano i figli a vedere il museo o a visitare il sito, restano sbalorditi perché non si aspettano di trovare pezzi di storia antica così interessante in posti che loro abitano da sempre, ma alla fine non conoscono davvero. E se io non conosco, non posso amare, proteggere.
A proposito di conoscenza, qual è l’importanza di Sabucina, cosa la rende un “unicum” archeologico?
È il sito che permette di indagare e di conoscere il rapporto tra i Greci, che arrivarono prima a Gela e poi ad Agrigento, e gli indigeni dell’entroterra, cioè i Sicani. Sabucina da sito sicano diventa probabilmente una colonia greca, di sicuro viene ellenizzato, come è attestato dalla copiosa ceramica greca esposta al museo archeologico di Caltanissetta.
La scoperta del sito è recente?
Sì, tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, grazie agli scavi iniziati da Pietro Griffo, Dinu Adamesteanu e Pietro Orlandini, proseguiti poi, tra gli anni Novanta e gli inizi del Duemila, da Rosanna Mollo Mezzena e da Rosalba Panvini. Quest’ultima ha portato alla luce il santuario “extramoenia”, la necropoli romana di contrada Lannari e il quartiere arcaico.
Qual è la storia di Sabucina?
Inizia in epoca preistorica. Nell’età del bronzo antico – siamo nei secoli XXIII-XV a.C. – ai piedi della montagna di Sabucina, esistevano alcuni villaggi di “facies” castellucciana. Nell’età del ferro, tra il XIII e il X secolo a.C., invece, sui pendii della collina, si sviluppò un esteso abitato di capanne circolari della “facies” di Pantalica Nord. Tra l’VIII e il VII secolo a.C. un nuovo insediamento indigeno occupò la vetta e le pendici dell’altura. Arriviamo all’incontro con i Greci probabilmente già alla fine del VII secolo a.C., prima con quelli di Gela e poi con quelli di Agrigento, come testimoniato dal ritrovamento a Sabucina di numerose monete da Akragas. In pratica, i Greci non si fermano sulle coste, ma penetrano, risalendo il fiume Imera, nelle zone interne dell’isola, anche perché la Sicilia centro-meridionale è ricca di zolfo e sale, risorse minerarie considerate preziose nell’antichità. I contatti con gli indigeni sono legati in particolare a scambi di natura commerciale.
Quando gli abitanti lasciano il sito di Sabucina?
Nel IV secolo a.C., l’insediamento venne quasi del tutto abbandonato, sono infatti molto scarse le tracce di materiali ascrivibili all’epoca di Timoleonte, e la popolazione si trasferì forse in altri centri vicini, come Gibil Gabib. Solamente più tardi, in età romana imperiale (I-III sec. d.C.), è attestata la formazione di fattorie e ville nella pianura che si estende ai piedi della montagna, documentata dal complesso abitativo di Piano della Clesia e dalla necropoli in contrada Lannari.
Proprio martedì scorso a Caltanissetta si è tenuto un consiglio comunale monotematico sulla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nel territorio nisseno. Anche di Sabucina?
Sì, siamo intervenuti come rappresentati di “SOS Sicilia” per evidenziare la situazione disastrosa in cui versano i nostri luoghi della cultura e il dimenticatoio in cui spesso cade Caltanissetta rispetto a Gela, maggiormente seguita. E abbiamo proposto la costituzione di gruppi di lavoro che prevedano il coinvolgimento dei cittadini per realizzare un piano strutturato, capace di far rivivere i luoghi della memoria e trasformarli in volano economico di un territorio inesplorato e dal ricco potenziale. Durante il consiglio ci è stato riferito che l’assessore regionale dei Beni culturali e dell’identità siciliana verrà presto in città per incontrare istituzioni e associazioni.
Cosa gli direte?
C’è l’imbarazzo della scelta sulle istanze da proporre. Innanzitutto riguardo la gestione dei fondi sempre insufficienti per restauri e conservazione, ma vorremmo aprire la strada anche a programmi di lunga prospettiva.
Quali?
Quelli che partono in primis da una domanda: perché a Caltanissetta non si fanno più campagne scavo, magari stipulando convenzioni con università italiane e straniere, come succede ad Agrigento o Selinunte? Perché non si porta pure qui la ricerca archeologica che rende vivi lo studio e l’attenzione su un determinato luogo, creando indotti virtuosi tra la comprensione del passato e l’investire sul futuro?
Per concludere, il sito di Sabucina è impraticabile, ma i reperti trovati qui, come il famoso sacello, cioè il modello di tempietto in terracotta, sono conservati e visibili al museo archeologico di Caltanissetta?
Si, ma purtroppo il museo, da circa un anno, è chiuso per lavori di manutenzione straordinaria. Sembra uno scherzo, ma non lo è. Con buona pace di turisti e cittadini.