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Opinioni

Foibe, la storia manipolata dalla Politica italiana

Il Ddl Foibe, approvato al Senato, riporta in superficie il problema che il Paese ha con la memoria e con un bisogno di pacificazione che vuole equiparare fascisti e antifascisti.
A cura di Carlo Greppi
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il Sacrario della Foiba di Basovizza a Trieste (LaPresse)
il Sacrario della Foiba di Basovizza a Trieste (LaPresse)

Martedì si è consumata una pagina nera della memoria pubblica italiana: alcune migliaia di vittime, non di rado fasciste, sono assunte al vertice di un culto civile manipolatorio che distorce completamente la storia e manca di rispetto persino a quelle stesse vittime. “Grazie alla Lega – esulta Matteo Salvini su X [ex Twitter] – [è stato] appena approvato al Senato il disegno di legge a sostegno della memoria del massacro italiano delle Foibe, da ricordare e tramandare alle nuove generazioni”. Curiosamente il tweet trionfante non nomina “l’esodo giuliano-dalmata”, che pure il DDL – che modifica la legge del 30 marzo 2004, n. 92, inserendo finanziamenti pubblici di diversi milioni di euro – ritiene debba essere maggiormente conosciuto, al pari della “tragedia delle foibe”, attraverso iniziative dedicate, compresa l’organizzazione di “viaggi del ricordo”. Il leader della Lega nazionalista – così la definì Roberto Maroni – preferisce soffermarsi sull’evocazione macabra dei “luoghi storici dove vennero barbaramente uccisi bambini, donne e uomini dalla violenza in quanto colpevoli di essere italiani”, per chiudere con l’ormai classico “perché non ci siano mai più vittime di serie A e vittime di serie B”.

Ora, sorvolando sul fatto che questa memoria negli ultimi due decenni ha assunto proporzioni elefantiache, non smetteremo mai di fare debunking. Innanzitutto la ricerca storica ha polverizzato il luogo comune che le vittime delle violenze al confine orientale nel 1943 e nel 1945 lo fossero “solo perché italiane” (c’erano italiani dall’una e dall’altra parte): lo erano perché più o meno convintamente fasciste, in quanto persone macchiatesi di crimini durante il ventennio fascista e durante l’invasione e l’occupazione della Jugoslavia o perché ritenute a torto o a ragione compromesse con il regime; grazie allo sguardo comparativo sappiamo che in questi casi di violenza spontanea e organizzata, che ebbero dimensioni pachidermiche in molte altre parti d’Europa in quegli stessi anni, si consumano anche vendette private, regolamenti di conti, omicidi brutali senza ragioni. Dunque, certo: c’erano anche degli innocenti (e persino degli antifascisti), tra le vittime, ed erano probabilmente un numero considerevole – dipende dai criteri con i quali stabiliamo innocenza e colpevolezza, ovviamente. A proposito, non manca in questo tweet il solito ritornello delle “donne e bambini”, che fa immaginare una violenza cieca, barbara appunto, scatenatasi contro chiunque senza criterio: però i casi delle donne e dei bambini “infoibati” sono forse sei, come ricorda la FAQ dedicata – “È vero che nelle foibe vennero gettati anche donne e bambini?“ – del Vademecum per il Giorno del Ricordo (edizione 2023) dell’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia, la massima autorità in materia: “Dalla foiba di Lindaro, in Istria, vennero recuperate nell’autunno del 1943 le salme di una donna con due figli, moglie di una camicia nera. Secondo fonti della RSI, un’altra donna, moglie di un milite confinario, sarebbe stata uccisa assieme alla figlia di 11 anni e gettata con lei nella foiba di Jurani. In entrambi i casi le vittime furono prelevate al posto dei parenti, ricercati in quanto fascisti. Lo stesso avvenne per la giovane Norma Cossetto, arrestata nell’autunno del 1943 in luogo del padre a Santa Domenica di Visinada e poi seviziata e uccisa”. Le altre vittime di quelle violenze – meno di 5.000 in totale – erano tutti uomini adulti. Che da sempre l’estrema destra celebra come suoi “martiri”.

Il fatto che il DDL sia passato all’unanimità (147 sì e 2 astenuti) al Senato non stupisce particolarmente, considerato il malfermo stato di salute della memoria pubblica di questo Paese, l’incultura storica della sua classe dirigente e la palese sudditanza ideologica alla marea nera: è di fatto una replica di quanto avvenne con la legge istitutiva del Giorno del Ricordo, iniziativa dell’onorevole Roberto Menia (AN), dai conclamati trascorsi fascisti – si reperisce facilmente la celebre foto che lo immortala a fare il saluto romano alle spalle di Gianfranco Fini. Eppure dovrebbe stupire. Cavallo di Troia del revanscismo missino, neofascista e postfascista negli ultimi tre quarti di secolo, il tema delle “foibe” (cappello onnicomprensivo all’interno del quale si conteggiano grossolanamente tutte le vittime delle violenze, solo una parte delle quali effettivamente “infoibate”) è diventato bipartisan, cannibalizzando anche quello dell’“esodo”, che pure ha ragioni assai diverse e “rischierebbe” di indurci all’empatia nei confronti dei flussi migratori di oggi.

La complicità istituzionale e politica in questi due decenni è stata senza confini. Dal 2004, a reti quasi unificate, si è deciso di santificare a la figura della “vittima delle foibe”, anche se fascista. È un'operazione che rischiava di far diventare il 10 febbraio, come è stato sottolineato dal collega Eric Gobetti – autore di E allora le foibe? (Laterza 2021) – e da tanti altri studiosi e studiose, la “Giornata della memoria fascista”. Perché tra i casi più eclatanti di “martiri” c'è quello del tenente colonnello Vincenzo Serrentino, fucilato in Dalmazia il 15 maggio del 1947, che nel 2007 al Quirinale ha ottenuto una medaglia commemorativa in quanto “infoibato”: fascista senza scrupoli, criminale di guerra e membro del Tribunale straordinario della Dalmazia, aveva condannato a morte anche minorenni. Dobbiamo onorare anche il suo, ricordando il “sacrificio di migliaia di connazionali” evocato da Salvini? Il lutto privato è sempre da rispettare, ci mancherebbe altro, il riconoscimento pubblico è invece una spia sempre accesa che ci dice dove siamo: nella logica del “non esistono morti di serie B” i gerarchi della Repubblica sociale italiana dovrebbero essere dunque degni dello stesso rispetto degli antifascisti che lottavano per un'Italia libera e democratica? Questa litania memoriale che ci viene inflitta da vent’anni, anche dalla Presidenza della Repubblica, ci suggerisce che valori e disvalori sono opinioni, da rispettare a prescindere dal loro contenuto, e fa il gioco di chi vuole che un fanatico gerarca fascista debba essere ricordato (e celebrato), esclusivamente in quanto “vittima italiana”, allo stesso modo di un neonato gasato ad Auschwitz.

La storia non è una partita di calcio, ma una questione di responsabilità: cosa dovrebbero dire i docenti e le docenti a scuola, in un paese che – per fare solo un esempio – da quasi vent’anni attende che sia istituita una Giornata della memoria delle vittime del colonialismo? In un paese che sistematicamente “dimentica” il fatto che la guerra per il fascismo fu una costante fin dalla presa del potere? Libia, Africa Orientale, Spagna, Albania, e poi il secondo conflitto mondiale, di cui la Jugoslavia fu un picco di atrocità inenarrabili, non sono incidenti di percorso: sono la natura stessa del fascismo. Il racconto pubblico che l’estrema destra di lotta e poi di governo ha consolidato come senso comune si basa non a caso sulla deliberata rimozione del fatto che il fascismo abbia seminato morte e distruzione nel mondo per due decenni. Dalla conquista della Libia e dell’Africa Orientale, passando per i bombardamenti sulla Spagna repubblicana, per giungere alla guerra contro i civili in Grecia, Unione sovietica e appunto in Jugoslavia, l’esercito italiano in epoca fascista si è macchiato di indicibili atrocità, sterminando le popolazioni locali, guidato da un’insaziabile sete imperiale ancora in larga misura taciuta nel racconto mainstream del Novecento italiano, o – ed è pure peggio – narrata come spinta verso una legittima grandeur sullo scacchiere internazionale.

In Cirenaica e in Etiopia, così come poi in Spagna, si sperimentarono le azioni genocidarie e la guerra ai civili che avrebbero poi contraddistinto quella immane carneficina che fu la guerra europea 1939-1945, e la annessa e infinita scia di sangue che le stragi nazifasciste lasciarono su un paese distrutto dall’occupazione e dal collaborazionismo. I soli massacri di Addis Abeba e Debre Libanos in Etiopia, tra febbraio e maggio del 1937, produssero oltre 20.000 morti – quattro volte quelli “delle foibe”, dunque – in una sanguinaria caccia all'uomo che coinvolse gran parte della società coloniale. Ma il 19 febbraio – Yekatit 12 –, anniversario del massacro di Addis Abeba, attende ancora al palo per diventare un’occasione di riflessione comune. Quella ferocia dominatrice che mosse l’Italia in epoca (non solo) fascista ebbe come effetti anche le politiche di discriminazione razziale che iniziarono, ben prima delle leggi del 1938 contro gli ebrei, proprio nei territori occupati, e le pratiche di italianizzazione forzata nei confronti di tutte le minoranze, ma in particolar modo di quelle residenti su quel “confine orientale” di cui ci si ostina a raccontare solo un minuscolo segmento della storia.

Molti paesi aggrediti aspettano ancora una presa di responsabilità delle istituzioni dell’Italia repubblicana. Il dibattito pubblico italiano, ormai, orbita costantemente intorno alla richiesta di riconoscimento delle “proprie” vittime o alla pretesa di una “memoria condivisa” che schiacci in un unico contenitore patriottico-nazionalista le ragioni e i torti della storia, le vittime innocenti, i carnefici e chi si era opposto all'incubo del “nuovo ordine” nero. La memoria pubblica del fascismo non ha mai goduto di una salute migliore, anche e innanzitutto all'interno di ampie fasce del senso comune moderato. Ed è desolante.

Ora queste iniziative auspicate e finanziate dalle più alte istituzioni della Repubblica contribuiranno a scavare un fossato incolmabile nel senso comune, a partire da quello delle incolpevoli “nuove generazioni”: la centralità della Shoah, faticosamente raggiunta con l’istituzione del Giorno della Memoria nel 2000, è progressivamente sfumata, rendendo il più terribile genocidio commesso nel cuore dell’Europa uno degli esempi tra tanti di generici e terribili “massacri”, sui quali si staglia ormai, granitico, il Giorno del Ricordo. Chiunque abbia familiarità con il mondo della scuola sa che l’operazione “parificazione”, di fatto, è ampiamente riuscita: situate a due settimane una dall’altra, le due date memoriali costruiscono (implicitamente, e spesso esplicitamente: ci sono dirigenti e docenti di estrema destra) a tutti gli effetti un “panino” all’insegna della par condicio: oggi ricordiamo sei milioni di morti innocenti, tra due settimane qualche migliaio – non si arriva a un millesimo, dovendo fare la brutale contabilità dei morti – di morti, che però valgono di più, “solo perché italiani”. O, per meglio dire, “anche se fascisti”.

Ad aprile del 2021, 80°anniversario dell'invasione nazifascista della Jugoslavia (risultato: un milione di morti), è stata indirizzata alle alte cariche istituzionali una lettera aperta – firmata da 137 (!) studiosi italiani, sloveni e croati – in cui si chiedeva a gran voce che l’Italia riconoscesse le responsabilità storiche dei crimini commessi. Due anni e mezzo dopo, con la destra postfascista saldamente seduta sugli scranni del potere, piovono milioni di euro perché non si dimentichino i “nostri” morti, indipendentemente dalle scelte che hanno fatto, dal ruolo che hanno avuto, da quello che rappresentano. Gli studiosi del futuro forse intitoleranno questo capitolo della storia della nostra memoria così: 2022-2023. Quando i vinti divennero vincitori. E ricorderanno che chi avrebbe dovuto vigilare sulla tenuta democratica di questo paese, per chissà quali ragioni, decise di stare zitto. Ricorderanno quei 147 (!) “sì”.

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Carlo Greppi, dottore di ricerca in Studi storici presso l’Università degli Studi di Torino, è autore di numerosi saggi sulla storia del Novecento. È curatore della serie Laterza “Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti”, e i suoi ultimi saggi sono Il buon tedesco (Laterza 2021, Premio FiuggiStoria; Premio Giacomo Matteotti) e Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo, che salvò Primo (Laterza 2023), tradotto in spagnolo e in corso di traduzione in olandese, francese e russo. È in uscita I Pirati delle Montagne (Rizzoli 2023), romanzo per ragazzi su una banda di partigiani stranieri, ed è in corso di pubblicazione la Storia internazionale della Resistenza italiana (Laterza 2024), saggio collettaneo a ventidue mani a cura sua e di Chiara Colombini.
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