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Eugène Ionesco: 110 anni fa nasceva il padre del teatro dell’assurdo

Il 26 novembre del 1919 nasce, in una piccola cittadina rumena, uno degli autori più importanti e significativi dello scorso secolo. Eugène Ionesco viene riconosciuto come uno dei padri del teatro dell’assurdo, assieme a Beckett: ma il drammaturgo ci tenne sempre a prendere le distanze da un aggettivo troppo riduttivo per le sue opere. Insensatezza, nel linguaggio e nella vita: questi i veri protagonisti dei suoi drammi.
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A cura di Federica D'Alfonso
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Eugène Ionesco nasce il 26 novembre del 1919 a Slatina, in Romania.
Eugène Ionesco nasce il 26 novembre del 1919 a Slatina, in Romania.

“Tutto è assurdo, e tutti sono assurdi. Ma non trovo affatto assurdo il mio teatro”: probabilmente perché per accettare l’assurdo è necessaria una certa scintilla di speranza che le opere di Eugène Ionesco non ebbero mai il tempo di lasciar trapelare. Il drammaturgo, francese per scelta ma rumeno per nascita, non ha mai esitato a rintracciare nell'angoscia la matrice della sua riflessione esistenziale, scegliendo anzi il luogo più veritiero e reale per raccontarla: il palcoscenico. Anche per questo ancora oggi, a distanza di 110 anni esatti dalla sua nascita, torniamo di nuovo a rileggere le sue opere.

Il teatro di Eugène Ionesco: l’insolito nell'assurdo

"Le sedie", altra celeberrima opera teatrale di Eugène Ionesco, al French Comedy di Parigi nel 2009.
"Le sedie", altra celeberrima opera teatrale di Eugène Ionesco, al French Comedy di Parigi nel 2009.

Eugène Ionesco nasce il 26 novembre 1919 in Romania, paese natale di quel padre con cui ebbe sempre un rapporto contrastante quasi quanto quello che ebbe con la sua terra d’origine. La disillusione di una pace precaria che si era risolta con la guerra, l’esperienza da emigrato dapprima in Francia e poi nella stessa Romania, negli anni seguenti, lo posero sempre in antitesi rispetto ai tempi: per questo, quando iniziò a parlare di quello che tutti intesero come “assurdo”, Ionesco era già oltre tale definizione. Il suo dramma più famoso, “Il rinoceronte”, a distanza di 60 anni esatti dalla prima apparizione sul palcoscenico francese dell’Odeon, chiude un cerchio ideale che Ionesco iniziò a tracciare anni prima con “La cantatrice calva”: un cerchio che, se ripercorso, restituisce solo per sommi capi tutta la complessità del suo teatro troppo distante da quello a cui il pubblico, e gli scrittori, erano abituati.

Non aspettava nessun Godot, Ionesco, come invece faceva il Beckett suo contemporaneo: il suo teatro non poteva e non doveva essere “assurdo”, bensì “insolito”. Derisione e non senso sono gli elementi da cui il drammaturgo rumeno sceglie di partire per mettere in scena tutta la banale vuotezza del linguaggio e dei gesti quotidiani, e per trasformare il teatro in quella che lui stesso definisce “la rivelazione di qualcosa di nascosto”.

“La cantatrice calva”: l’insensatezza del linguaggio

Nicolas Bataille, Paulette Frantz, Claude Mansard e Simone Mozet ne "La cantatrice calva" nel maggio 1950.
Nicolas Bataille, Paulette Frantz, Claude Mansard e Simone Mozet ne "La cantatrice calva" nel maggio 1950.

Ma il “nascosto” di cui Ionesco parla, è qualcosa che in effetti è sotto gli occhi di tutti: forse anche per questo, inizialmente, la sua opera, sebbene apprezzata dai ben più eccentrici patafisici, passò completamente sotto silenzio. All'indomani del debutto di una delle sue opere più significative, “La cantatrice calva”, l’11 maggio 1950, nessuno capì effettivamente cosa Ionesco volesse dire: il fascino della sua rappresentazione, d’altra parte, è che egli non “voleva dire” proprio nulla. È nella vuotezza di senso, e nel suo palesarsi sul palcoscenico, che il teatro di Ionesco trasse la sua forza più esplosiva.

“La cantatrice calva” ha letteralmente rivoluzionato la storia del teatro, ponendosi in antitesi a tutto ciò che fino al quel momento era stato visto. Conversazioni vuote, senza alcun contenuto, sono al centro dell’atto unico ambientato nel salotto “inglese” degli “inglesi” signori Smith. Ionesco ebbe l’intuizione per la sua prima fortunatissima opera studiando alcuni manuali di lingua francese: il suo teatro si configura come una vera e propria grammatica dell’insensato, incapace di risolversi, nemmeno metaforicamente, in azioni di senso compiuto.

“Il rinoceronte”: dal linguaggio alla vita, alla morte

François Hélie ne "Il rinoceronte" di Eugène Ionesco.
François Hélie ne "Il rinoceronte" di Eugène Ionesco.

Negli anni seguenti, anche quando con “Il rinoceronte” tutto il peso politico delle situazioni insensate di Ionesco si palesarono sul palcoscenico, ci fu chi continuò ad accusare la sua arte di “noncuranza” per ciò che succedeva nel mondo. Ma in realtà fu proprio quel mondo che Ionesco seppe osservare molto bene, e di cui in giovinezza aveva subito le contraddizioni, a divenire, dopo il linguaggio, il protagonista indiscusso delle sue opere. Proprio “Il rinoceronte” né costituisce l’esempio più emblematico: rappresentata per la prima volta il 22 gennaio 1960 al Teatro dell’Odeon di Parigi, l’opera è forse una delle più complesse e ancora attuali scritte dal drammaturgo rumeno.

La metamorfosi della società protagonista, “violentemente comica, violentemente tragica”, chiude perfettamente il cerchio tracciato con “La cantatrice calva”: dal linguaggio insensato si passa alla vita, anch’essa talmente insensata da poter finire con l’essere vittima di una disumanizzazione spietata che non rappresenta nient’altro che lo stadio successivo di un processo che, inevitabilmente, tanto nel teatro di Ionesco quanto nella sua personalissima concezione del mondo e della vita, porta alla morte.

Ho sempre avuto l’impressione di un’impossibilità di comunicare, di un isolamento, di un accerchiamento, scrivo anche per gridare la mia paura di morire, la mia umiliazione di morire.

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