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Appino: “Quando scrivo per gli Zen Circus penso al pubblico, se scrivo per me faccio i fatti miei”

Appino, cantante degli Zen Circus, ha appena cominciato il tour di Humanize, il suo terzo album da solista. Fanpage.it lo ha intervistato.
A cura di Francesco Raiola
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Appino (ph Giacomo Francesconi)
Appino (ph Giacomo Francesconi)

Trent'anni di carriera, la maggior parte come voce degli Zen Circus, ma Appino ha alle spalle anche tre album da solista, l'ultimo dei quali "Humanize" + uscito qualche mese fa e adesso lo sta portando in tour nei club d'Italia. Mai pacificato, come spiega a Fanpage, oggi il cantante ha la libertà di potersi prendere un po' di tempo per lavorare a un disco senza sovrastrutture, e così è uscito un lavoro sfaccettato ei suoni e nelle intenzioni, con l'idea di una radio che si ferma su diverse stazioni, ma oltre alla musica c'è anche ilr acconto dell'umanità che ci circonda, con tanto di interviste sui temi di attualità che fanno da inframezzo. Abbiamo raggiunto Appino al telefono per farcela raccontare questa umanità che canta.

Stai per partire col tour di Humanize, sei pronto?

Non ho mai lavorato così tanto a un live in vita mia, con gli Zen, tra virgolette, è più facile perché abbiamo un canzoniere che non possiamo togliere, quindi a ogni disco si tratta di aggiungere qualcosa, ma bene o male è una specie di coro collettivo, ormai è un'entità extra, mentre per questo disco mi sono fatto un culo così, e ho imparato a suonare meglio la chitarra.

Tra l'altro è un album molto variegato di cui dovrai portare tutte le sfaccettature sul palco.

L'idea era quella di immaginare di essere un alieno che gira la manopola della radio, quindi trovi l'intervista, poi quello che parla, poi la canzone pop, poi il rock vecchissimo, poi le frequenze non prendono, quindi l'idea era quella di ricreare questo patchwork di umanità e quindi sì, rifarla dal vivo sarà farsi un culo incredibile, ma sono contentissimo perché alla fine è venuto fuori un concept live.

Riuscirai anche a mantenere gli intermezzi?

Alcuni intermezzi ci sono, non troppi altrimenti dal vivo possono diventare pesanti. Però li usiamo come escamotage per uscire ed entrare nelle canzoni e ho mescolato le canzoni vecchie all'interno del discorso di Humanize, quindi mantenendo più o meno il loro atteggiamento originale, anche se variando un po'. Però la cosa fondamentale è che se con gli Zen è tutto un confronto col pubblico, dai cori, alla chiacchiera e alle battute, questo disco è il contrario: almeno per la prima ora e un quarto non parlo, c'è solo musica, costantemente. Questa cosa mi ha destabilizzato ma ovviamente fare cose che non sono la tua comfort zone ti fa bene nella vita.

Il tuo album arriva pochi mesi prima dei casi Ghali e Dargen D'Amico a Sanremo, e sulla discussione del ruolo dell’artista. Voi lo fate da sempre, e in quest'album quasi fai cronaca, anche con interviste. Che ne pensi?

L'umanità è attuale e purtroppo se vai a scandagliarla è difficile che non trovi cose orrende che ci sono state, ci sono e temo purtroppo ci saranno all'interno del nostro consorzio. Quindi per esempio quando è uscita "È solo una bomba", qualcuno ha pensato al disastro tra Israele e Palestina e io ho risposto che in realtà è una canzone su un lato dell'umanità che c'è da sempre e purtroppo la puoi far uscire ogni tot, insomma, temo che non sia una mia grande intuizione ma sia la natura molto particolare dei nostri simili.

Certo, mi interessava anche la questione di chi dice che i cantanti devono solo cantare, mentre tu hai quasi fatto cronaca.

La cronaca è un lavoro che ho sempre fatto, ovviamente in questo disco è fatto in un modo diverso, tipo intervistando le persone, però se ci pensi le canzoni degli Zen sono sempre state una visione molto personale delle cose ma gettata anche nella cronaca di quel momento: fu così per "Andate tutti affanculo", e lo fu per "Nati per subire". A me piace tantissimo l'idea che gli artisti possano o non possano anche parlare di quello che vogliono, credo che sia un diritto inalienabile di tutti fare quello che vogliono, da questo punto di vista; mi fa ridere che la realtà raramente arriva nelle canzoni, che non vuol dire essere schierati, ma raccontare tutto lo scibile dell'esistenza umana. Amo le canzoni d'amore, ma amo anche le canzoni che parlano di altro, amo le canzoni leggere, sono un fan dei Ramones, figurati se non cerco leggerezza a volte, ma può esserci anche altro. Ecco, io spero di vedere questo altro raccontato: non tutti lo devono fare, quindi mi son preso questo onere, tanti anni fa e così è.

Insomma, un artista può mandare messaggi.

Io credo che non c'è niente che noi non possiamo dire, basta dirlo. E ovviamente tutti i luoghi che non accettano che qualcuno dica qualcosa se ne vadano a fanculo. Anni fa andare in televisione voleva dire non dire certe cose, e allora fanculo la televisione. Noi dobbiamo fare e dire quello che sentiamo e prenderci tutte le conseguenze e saranno queste conseguenze a definire la stupidità dei luoghi. Qualche anno fa mi trovai in una piccola shitstorm, quando scrissi la mia sul talent e lì mi resi conto che non avrei dovuto scrivere nulla, a quei tempi, però, pensavo che coi social ci potessi fare qualcosa che non fosse promozione e mi sono reso conto che non è così. Poi capisco benissimo chi lo fa, quell'istinto primordiale lo abbiamo avuto tutti, ma a 45 anni credo che non sia il luogo dove si possa cambiare niente. Sono le opere a poter cambiare qualcosa.

In Enduro dici: "Ho cantato sempre e solo della morte, adesso basta, canterò la vita. Viva la vita!".

Infatti non avevo molto da dire e ho detto solo "Viva la vita".

Chi vi conosce sa che la morte è sempre stato un argomento che avete trattato in passato.

Il nostro rapporto con la morte è come quello di Woody Allen, un rapporto costante, un po' fatalista ma pieno di vita: "Vivi si muore", d'altronde, l'abbiamo sempre detto, non è un inno alla morte anzi è il contrario.

Questo mondo di umani per te è pieno di mostri e stronzi, lo ripeti in varie canzoni… È una visione definitiva?

No, no, assolutamente, non ho mai pensato di concludere un disco con un'idea chiara sull'essere umano, sarei un premio Nobel e non lo sono, sono un miserabile ragioniere con 36/60. Però mi sono reso conto che siamo in questa eterna danza fra il bene e il male, questo concetto che abbiamo solo noi, quello che ci differenzia più di tutti dal mondo animale che io amo peraltro, e dal quale imparo ogni giorno: abbiamo questo concetto di cattiveria, di odio, di rabbia, di violenza, di bontà, di bello, di brutto, tutto molto variegato, tra l'altro, a seconda delle culture, a seconda delle civiltà in cui viviamo, tutte cose che si modificano costantemente in base anche ai tempi che corrono e io non riesco che a vedere questi esseri fragili, fatti di niente, che però diventano divini tanto quanto diventano aberranti.

Il tuo è un album lunghissimo per i canoni contemporanei, a dimostrazione che si può cercare un’altra strada. Ti poni il problema delle difficoltà di ascoltare un album per intero? 

No, non me lo sono posto perché anche qui si torna alla libertà che non si compra (come canta in "Quando mi guardi"). È ovvio che quando faccio le cose da solo le faccio in un altro modo, entro in un modo che è anche meno diretto: quando scrivo per gli Zen uso me come metro di paragone o le persone intorno a me ed è anche molto più diretto e più semplice musicalmente perché deve esserci urgenza espressiva. Quando faccio le cose da solo mi dimentico di tutto ciò, godo della fortuna che ho di poter fare questo mestiere attraverso il percorso che è stato quello degli Zen e se lo faccio è perché ho bisogno, come necessità creativa, di fare un qualcosa che non per forza debba essere odiato dal pubblico o anti pubblico ma che non abbia a che vedere con quello.

In che senso?

Perché il pubblico è il quarto membro degli Zen, invece i miei dischi non sono pensati per un pubblico, non so neanche se ce l'ho, a parte essere "quello degli Zen". Poi ho scoperto, negli anni, che qualcuno c'è ed è bellissimo, però non rientra in quel pensiero: il pensiero è quello di creare un'opera che abbia un senso per me, in primis, e che abbia un senso anche a livello generale in un certo periodo storico, senza caricarla di tutto quello che può essere una sovrastruttura come quella di doverci fare un tour, di sbigliettare. Ho la grandissima fortuna di suonare con i miei amici storici da trent'anni e questo ha creato un esercito di persone bellissimo, quindi diciamo che tutte queste velleità si sono risolte. Quando scrivo per gli Zen scrivo anche per chi ci ascolta, ce l'ho quel pensiero, quando scrivo per Appino, invece, faccio i cazzi miei, ovvio che questo può entrare o uscire da determinate logiche.

Per questo ti senti libero di fare un concept?

Il concept album è un concetto che adoro, ci sono concept album che mi hanno cambiato la vita ed è una vita che lo volevo fare, obbligare gli Zen a farlo, però, sarebbe stato stupidissimo. In realtà poi non voleva nemmeno esserlo un concept, voleva essere un audio-documentario, poi negli anni si è tramutato in quella cosa, pensa che io il terzo disco non volevo nemmeno farlo, è successo.

Però ti sei conquistato la libertà di non essere legato, per esempio, a logiche di tempistiche per le uscite.

Certo, è un lavoro che volevo fare, mi sono preso il tempo, la tranquillità, mentre nel frattempo ci sono stati sette tour estivi degli Zen.

Guardandoti alle spalle sei sereno, pacificato con la tua carriera artistica lunga 30 anni?

Pacificato mai, col cazzo! (ride, ndr). Quando mi dicono che un album è quello della maturità rispondo di no. Non sono pacificato, però ovviamente di certe cose, come si dice qua in Toscana, m'importa ‘na sega. Continuo a fare quello che voglio fare, come lo voglio fare, nel modo in cui lo posso fare, coi metodi con cui lo posso fare. E non sono neanche pacificato con la scrittura.

Insomma sei già con la testa a quello che sarà domani.

Sì, sono già lì da tempo però diciamo che sono pacificato con il dover dare un'idea di me, quello non mi interessa, abbiamo la fortuna incredibile di avere avuto, in tutti questi anni, un supporto, una famiglia come quella degli Zen e di chi li segue quindi sì, da quel punto di vista penso di essere totalmente pacificato, poi è ovvio che il mondo va avanti e arroccarsi al passato è una cosa che mi fa abbastanza cagare, non ce la faccio. Anche perché era l'inizio dei '90, ascoltavo i Nirvana e quelli più grandi mi dicevano: "Questo è una merda, la musica è morta" e l'ultima cosa che vorrei è ritrovarmi io fare la stessa cosa oggi.

E a proposito del passato, siete anche riusciti con "Quando avevo 20 anni ero uno stronzo" a entrare nel computo degli aforismi musicali italiani…

Per qualche assurdo motivo, peraltro, perché, sai, siamo degli scappati di casa. Non so come sia stato possibile, forse proprio per quella non pacificazione che sinceramente prosegue e poi è ovvio e quello che quel che sarà sarà. E ti dirò una cosa, quella canzone, Vent'anni, doveva far parte di "Andate tutti affanculo" poi arrivò Brian Ritchie e servivano canzoni in italiano, quindi l'abbiamo rubata e finì in Villa Inferno.

Le date del tour di Humanize:

  • Venerdì 1 marzo 2024 || Perugia @ Urban Club
  • Domenica 3 marzo 2024 || Roma @ Largo Venue
  • Mercoledì 6 marzo 2024 || Trento @ Sanbapolis
  • Giovedì 7 marzo 2024 || Torino @ Hiroshima Mon Amour
  • Venerdì 8 marzo 2024 || Brescia @ Latteria Molloy
  • Martedì 12 marzo 2024 || Milano @ Santeria Toscana 31 SOLD OUT!
  • Mercoledì 13 marzo 2024 || Milano @ Santeria Toscana 31
  • Venerdì 15 marzo 2024 || Treviso @ New Age Club
  • Sabato 16 marzo 2024 || Cesena @ Vidia Club
  • Domenica 17 marzo 2024 || Firenze @ Viper Theatre
  • Sabato 23 marzo 2024 || Cagliari @ Fabrik
  • Martedì 26 marzo 2024 || Napoli @ Duel Club
  • Mercoledì 27 marzo 2024 ||Cosenza @ Mood Social Club
  • Giovedì 28 marzo 2024 || Messina @ Retronoveau
  • Venerdì 29 marzo 2024 || Palermo @ I Candelai
  • Sabato 30 marzo 2024 || Catania @ Land
  • Lunedì 1 aprile 2024 || Bari @ Eremo Club
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