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Costrette ad assistere all’uccisione dei figli e stuprate, il dramma delle donne Rohingya

Le drammatiche testimonianze di alcune sopravvissute alle brutali violenze dall’esercito del Myanmar contro la minoranza dei Rohingya, vittima di una vera e propria cacciata.
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A cura di Antonio Palma
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Donne e bambini anche in tenerissima età picchiati ferocemente, umiliazioni in pubblico,  stupri di gruppo, torture e mutilazioni. Sono le sconcertanti e atroci storie di violenze raccontate dai sopravvissuti alla terribile repressione condotta dall'esercito del Myanmar contro la minoranza etnica e religiosa dei Rohingya, definita dallo stesso Onu una pulizia etnica in piena regola per scacciare dal Paese, il nutrito gruppo musulmano in una regione a maggioranza buddista. Vittime di persecuzione e privazione della cittadinanza, a centinaia di migliaia ormai hanno lasciato i loro villaggi, superando il confine lasciandosi dietro case incendiate per rifugiarsi in campi profughi improvvisati nel vicino Bangladesh in quello che appare un esodo biblico.

"Sono stato violentata appena 13 giorni fa", ha raccontato la 20enne Aysha Begum ad Al Jazeera, ventenne arrivata in Bangladesh una settimana fa ormai esausta. "Stavamo cenando con le mie cognate quando i soldati sono arrivati  nel nostro villaggio di Tami, nella città di Buthidaung; mi hanno strappato mio figlio dalle braccia calciandolo via come fosse un pallone" ha ricordato la ragazza. Poi le violenze sessuali   su tutte le donne del villaggio durate ore. Infine la fuga durante la quale molti hanno perso la vita in ore e ore di cammino.

Storia comune a un'altra testimone scappata dalle violenze dell'esercito birmano, la 20enne Rajuma Begum, sopravvissuta al massacro del 30 agosto a Tula Toli, ritenuto uno dei più brutali atti di violenza dell'esercito del Myanmar. "Le donne sono state separate dai figli e dai mariti poi questi ultimi sono stati uccisi a coltellate e con la baionetta" ha raccontato la donna, aggiungendo: "Mi hanno accompagnato con altre quattro donne all'interno di una casa. Hanno strappato mio figlio dalle mie braccia, lo hanno buttato per terra e gli hanno tagliato la gola".

Poi lo stupro di gruppo durato ore e ore, infine i militari hanno picchiato a sangue le vittime lasciandole tramortite a terra nella casa a cui hanno dato fuoco. Lei è stata l'unica a svegliarsi poco dopo e a riuscire a scappare. "I militari hanno ucciso sette membri della mia famiglia. Mia madre, le mie due sorelle di 18 e 15 anni, entrambe violentate, mio ​​fratello di 10 anni, mia cognata di 25 anni, suo figlio che aveva due anni e mezzo e mio figlio Mohammed Saddique, che aveva un anno e quattro mesi" ha rivelato la 20enne, aggiungendo: "È importante conoscere la nostra storia, cosa è successo a noi perché Rohingya. Vogliamo giustizia".

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