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Caso Michela Deriu, due indagati. Ricattata per un video hard, “l’hanno fatta suicidare”

La Procura di Tempio Pausania ha indagato due ragazzi di 24 e 29 anni per la diffamazione che ha poi portato al suicidio Michela Deriu, la 22enne barista di Porto Torres, trovata impiccata il 5 novembre scorso in casa di un’amica a La Maddalena.
A cura di Biagio Chiariello
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Due ragazzi risultano indagati per la morte di Michela Deriu, la 22enne di Porto Torres che si è tolta la vita il 5 novembre scorso in casa di un'amica a La Maddalena, in Gallura, dopo aver subito un ricatto per un filmato che la ritraeva durante un rapporto sessuale. La Procura Di Tempio ritiene che a mettere Michela alla berlina sono stati M.C. e R.C.P., rispettivamente di 24 e 29 anni non ancora compiuti. Sarebbero stati loro a diffondere il video hard offendendo così "la reputazione di Michela rivelando informazioni confidenziali sulla sua vita privata e sulle sue abitudini sessuali". Sempre secondo quanto affermano gli inquirenti il comportamento dei due indagati ha contribuito a causare la morte della ragazza che si suicida dopo aver appreso della diffusione del video. Michela era stata trovata impiccata in cucina attorno alle 3 di notte in casa dell'amica dove si era rifugiata per trovare un po' di pace dopo la diffusione di video e foto. Vicino al corpo senza vita, due biglietti. In uno si faceva riferimento a "ricatti e umiliazioni per via di un vecchio film".

L'accusa, nei riguardi dei due indagati è di diffamazione aggravata e morte come conseguenza di altro reato. I militari della sezione operativa del reparto territoriale di Olbia hanno effettuato le indagini, in collaborazione con i colleghi di Porto Torres, sentendo numerosi testimoni e analizzando diverse intercettazioni telefoniche, oltre a vario materiale informatico, per ricostruire gli ultimi giorni di vita della ragazza. C’è da dire che la 22enne pochi giorni prima del suicidio aveva denunciato una rapina, subito sembrata sospetta agli occhi degli investigatori anche perché denunciata solo quando la notizia si diffuse sui media locali. Si era poi scoperto che Michela aveva simulato tutto, per ragioni su cui non è stata fatta piena chiarezza.

A seguito delle indagini sarebbe stato quindi documentato che "gli indagati in concorso tra loro e comunicandolo a più persone, hanno offeso la reputazione di Michela, rivelando, senza il suo consenso, informazioni confidenziali attinenti alla sua vita e abitudini sessuali e, in particolare, hanno mostrato, divulgandolo in questo modo, alcune riprese video e fotografie che ritraevano la giovane mentre consumava un rapporto sessuale", riferiscono i Carabinieri. Per questo motivo gli inquirenti ritengono che "i due indagati, sempre in concorso tra loro, hanno contribuito a cagionare, quale conseguenza non voluta, la morte di Michela, la quale, avendo appreso la notizia della diffusione delle informazioni e dei video che la ritraevano mentre faceva sesso, si determinava a togliersi la vita mediante impiccagione".

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