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Axa: Draghi ha salvato l’euro senza spendere un centesimo

Mario Draghi nel corso dell’ultimo anno è riuscito a salvare l’euro senza sborsare un centesimo. Ma, avverte Chris Iggo, gestore di Axa IM, molto resta da fare sul fronte della crescita che in Europa continua a latitare…
A cura di Luca Spoldi
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E’ passato un anno dal discorso tenuto a Londra da Mario Draghi durante il quale il numero uno della Banca centrale europea dichiarò di essere pronto a fare “tutto quanto necessario” per salvare l’euro. Una dichiarazione, ricorda Chriss Iggo, Chief investment officer di Axa Investment Managers, che prova a fare un bilancio dei risultati dell’azione di Draghi e della Bce, che coincise col “picco dei premi al rischio sui mercati dei titoli di stato dell’area euro” oltre che con la “massima frenesia nell’acquisto di titoli sovrani di alta qualità, considerati un“porto sicuro”, dall’esterno dell’Eurozona”.

Se aveste prestato ascolto a Draghi e scommesso sui bond italiani o spagnoli non ve ne potreste rammaricare ora, anzi. L’indice total return dei governativi spagnoli, nota Iggo, “è in rialzo del 19% e l’indice italiano equivalente è in rialzo del 16%, nonostante i continui timori riguardo la solidità dell’economia in Spagna e della situazione politica in Italia” (il che la dice lunga sulla ininfluenza, al di là di qualche turbolenza di breve periodo, della politica rispetto ai mercati finanziari), mentre i “porti sicuri” hanno deluso, coi T-bond americani che hanno registrato mediamente un rendimento pari al -3,76%, i Gilt inglesi in calo del 4,45% e i Bund che da allora ad oggi hanno offerto ai loro sottoscrittori un rendimento nullo, il tutto senza che il mondo sia finito nel Sud Europa ed anzi con un rialzo di circa un punto percentuale dei rendimenti sia sui titoli di stato Usa sia su quelli britannici (nonostante robusti acquisti di bond effettuati sul mercato tanto dalla Federal Reserve quanto dalla Bank of England).

La Bce, centellinando i suoi interventi, in pratica limitati ad una limatura di un quarto di punto del tasso di rifinanziamento principale, ha ottenuto i risultati migliori, limitandosi a parlare e lasciar parlare analisti e gestori circa la possibilità di tassi di deposito negativi e di un’attivazione del programma Omt (Outright Monetary Transactions) destinato a paesi “virtuosi” ma in momentanea difficoltà (come l’Italia, in teoria) purchè pronti a sottoscrivere condizioni “di ferro” a garanzia degli aiuti ricevuti. In realtà Draghi non ha acquistato una singola obbligazione sul mercato, ricorda l’esperto di Axa IM. Insomma: “Draghi ha salvato l’euro e ottenuto costi di finanziamento inferiori per i paesi debitori in difficoltà senza spendere un centesimo del bilancio della Bce”, checché temessero banchieri e politici tedeschi.

Per riuscirvi, dato che la crisi finanziariaha esposto la fragilità dei finanziamenti intra-europei”, la Bce è dovuta comunque intervenire sulla scia di quanto fatto da Federal Reserve, Bank of England e Bank of Japan ed “ha ampliato il proprio bilancio”, in particolare fornendo oltre mille miliardi di euro di liquidità di lungo periodo con le due Ltro a 3 anni a tasso fisso (1%) del dicembre 2011 e del febbraio 2012 che hanno “dato liquidità al sistema bancario, consentendo alle banche in Spagna e in Italia e alle altre economie periferiche di acquistare il debito sovrano locale, contribuendo a far calare i rendimenti su queste obbligazioni”. In questo modo ad un anno dal discorso di Londra Draghi può vantare rendimenti dei titoli sovrani periferici “molto più bassi” di allora, mentre “i rendimenti dei titoli di stato “core” sono saliti, ma meno rispetto agli Usa e al Regno Unito”.

Non solo: il bilancio della Bceha già iniziato a ridursi, poiché buona parte dei finanziamenti Ltro sono stati ripagati dalle banche europee che a loro volta hanno rafforzato i propri bilanci”. In questo modo la “exit strategy” della Bce non sta causando uno stress eccessivo sui mercati europei “poiché le banche hanno tantissimo tempo per restituire i finanziamenti ricevuti dalla Bce”, mentre la Federal Reserve “ha cercato di comunicare i propri piani per chiudere il Qe”, operazione non semplice fino ad oggi “poiché i rendimenti dei Treasury sono saliti drasticamente da maggio”, anticipando il “tapering” (rallentamento e successiva interruzione degli acquisti) da parte della banca centrale americana, il cui avvio è atteso nel corso del secondo semestre dell’anno. Ma se sul fronte della crisi del debito sovrano il bilancio di quest’ultimo anno si chiude a favore di Draghi, sul fronte della crescita il discorso cambia.

In questo caso la Federal Reserve è più vicina al successo, “considerando la crescita più forte del Pil negli Stati Uniti e il miglioramento del mercato del lavoro, tutto con una bassa inflazione” spiega Iggo. Tuttavia “la Fed deve affrontare le conseguenze sui mercati della riduzione del flusso di liquidità e venire a patti con l’idea che la liquidità creata negli ultimi anni resterà nel sistema finanziario per un lungo periodo di tempo”, mentre per contro la Bce “deve ancora affrontare un’economia dell’area euro ancora molto fiacca con sacche di disoccupazione cronica in tutta la zona”, un settore bancario “ancora fragile” e un’austerità fiscale che “penalizza la fiducia delle famiglie e delle imprese”. Cosa ancora più importante, “la debolezza della crescita sosterrà le aspettative che la Bce debba fare ancora di più, pertanto sono numerose le illazioni sui mercati e la stampa riguardo al fatto che la Bce decida o no di tagliare ulteriormente i tassi, di avere un tasso di deposito negativo o seguire la stessa tipologia di programmi di acquisto degli asset osservata altrove”. Tuttavia per il gestore “la Bce ha chiaramente maggiore controllo sul suo bilancio, ha più frecce al proprio arco ed è riuscita a contenere relativamente bene le aspettative del mercato sul futuro della politica”, perché, paradossalmente, i mercati trovano strano che la Bce faccia qualcosa, abituati da anni di immobilismo. Così a conti fatti la strategia di Mario Draghi viene promossa a pieni voti, sperando che col tempo la crescita si manifesti anche in Europa.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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