Video TikTok girato in carcere a Prato svela degrado a La Dogaia: trovati telefoni, armi e droga in cella

Una brandina inquadrata con cura, un sottofondo musicale (con tanto di risatine) scelto con attenzione, i commenti degli utenti che si moltiplicano. Non è la scena di un reality né il backstage di un documentario: è un video pubblicato su TikTok da un detenuto in regime di Alta Sicurezza nel carcere “Le Dogaie” di Prato. Un’immagine potente, assurda e simbolica, che racconta più di mille parole lo stato di degrado e illegalità in cui versa l’istituto penitenziario. Non un caso isolato, ma l’ennesimo tassello di un’inchiesta che da settimane fa emergere un sistema completamente fuori controllo.
La Procura di Prato parla senza mezzi termini di una "realtà criminale pervasiva". Gli investigatori, dopo l’ennesima perquisizione durata sette ore nel carcere, hanno sequestrato nuovi oggetti proibiti: una lama affilata, tre cacciaviti, caricabatterie USB-C per telefoni Android, cuffie bluetooth e persino scarpe modificate con doppi fondi adatti a nascondere droga. In una cella del reparto di Media Sicurezza è stato persino scoperto un cellulare nascosto nello sportello del frigorifero, in una nicchia ricavata rimuovendo il materiale isolante.
Il nodo centrale è l’uso sistematico e quasi impunito di telefoni e sim card, che consentono ai detenuti non solo di comunicare con l’esterno, ma anche di pubblicare contenuti sui social. In un anno sono stati sequestrati 41 cellulari, tre schede e un router. Ma altri dispositivi continuano a spuntare anche dopo la maxi-ispezione del 28 giugno. Il sospetto della Procura è pesante: complicità interne tra agenti penitenziari e detenuti, libertà di movimento fuori controllo, e un sistema criminale che usa anche strutture esterne come una vicina casa di accoglienza per lo stoccaggio e lo scambio di droga e ordini.
Gli episodi di violenza, intanto, si moltiplicano. Due rivolte nelle ultime settimane – il 4 giugno e il 5 luglio – hanno messo in ginocchio la struttura: detenuti con spranghe in mano, minacce urlate ("stasera facciamo la guerra, si muore solo una volta"), materiali incendiati, cancelli sfondate. Solo l’intervento dell’antisommossa ha riportato la calma. I magistrati hanno aperto un fascicolo per rivolta, resistenza, lesioni e danneggiamenti.
A peggiorare il quadro, due episodi di violenza sessuale tra detenuti, definiti dalla Procura “agghiaccianti”. In uno, un brasiliano avrebbe stuprato il compagno di cella pachistano minacciandolo con un rasoio. Nell’altro, due reclusi avrebbero torturato per giorni un tossicodipendente omosessuale con pentole bollenti e bastoni. Scene che richiamano più un lager che una casa circondariale.
Dietro tutto questo, l’assenza cronica di personale. A fronte di 576 detenuti – metà stranieri – lavorano solo 270 agenti, contro i 360 previsti. Da mesi mancano sia un direttore titolare sia un comandante. Non ci sono psicologi, educatori, medici in numero sufficiente. I racconti parlano di cimici, scabbia, scarafaggi e un’autolesionismo fuori controllo: oltre 200 episodi nel 2024, a cui si aggiungono quattro suicidi.
La situazione ha spinto il Comune di Prato a convocare un consiglio straordinario, ma le misure concrete tardano ad arrivare. A livello nazionale, il deputato PD Marco Furfaro ha presentato un’interrogazione parlamentare insieme a Debora Serracchiani, chiedendo risposte immediate: “Se un carcere diventa un luogo di violenza sistematica – ha detto Furfaro – significa che lo Stato ha fallito”.
E mentre la magistratura continua con i procedimenti penali contro detenuti e agenti collusi, i video sui social restano lì, testimonianza sfacciata di un sistema allo sbando. Le autorità promettono una risposta “ferma e costante”, ma la sensazione, oggi, è che dietro le sbarre di Prato il carcere lo comandino altri.