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Opinioni

Una legislazione speciale anti rave sarebbe inutile, sbagliata e dannosa

Prima la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha parlato dell’opportunità di una legislazione speciale contro i rave party, poi è arrivato l’annuncio di Matteo Salvini della presentazione da parte della Lega di un’apposita legge. Storia di un’emergenza inventata e di una soluzione inutile, sbagliata e preoccupante.
A cura di Vanni Santoni
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Premessa: questo articolo va letto seguendo tutti i link. Parrà una richiesta inusuale, ma poiché sulla cultura rave imperano da anni disinformazione e pregiudizio, l'articolo nasce prima di tutto dalla volontà di creare un piccolo archivio ipertestuale atto a fornire a tutti gli elementi necessari per formarsi un'opinione documentata rispetto al fenomeno.

Ma veniamo a noi.

Si vocifera della possibilità di una legge contro i rave – ovvero, per usare una terminologia corretta, i free party o, quando sono davvero grossi e con più soundsystem, i teknival -; puntuale è arrivato anche un DDL della Lega, che punta a pene draconiane per partecipanti e
organizzatori e il sequestro della strumentazione musicale. Qualcuno ha già obiettato che perseguire il free party in quanto tale e non gli eventuali reati specifici, all'istituzione, del tutto incostituzionale, di un reato di opinione e questo potrebbe bastare. La Corte di Cassazione
ha già espresso una sentenza precisa, in cui si rimarca che partecipare a un rave (od organizzarlo) non può essere illegale in virtù dell'articolo 17 della Costituzione, che tutela
la libertà di raduno dei cittadini.

Ma di questi tempi è sempre bene non dare niente per scontato, così andiamo avanti con la nostra riflessione. Una legge anti-rave sarebbe allo stesso tempo una cosa non necessaria, una cosa sbagliata, una cosa inutile e una cosa preoccupante.

Andiamo con ordine.

Una legge contro i rave sarebbe una cosa non necessaria dato che in Italia (o in Europa, certo) non c'è alcun problema legato ai free party. I free party, prova ne è la loro storia trentennale, sono ormai una prassi dell'aggregazione giovanile, e come tale vanno considerati. Costituendo uno spazio di libertà, cultura e socialità transnazionale, il loro effetto sulla società italiana ed europea è soltanto positivo. Nonostante questo, i raver subiscono già una repressione spropositata, con denunce (illegittime, visto che accusano di "occupazione di terreno" semplici partecipanti o curiosi e si concludono immancabilmente con assoluzioni, quando non vengono prescritte – si consideri anche l'intasamento del sistema giudiziario causato da queste operazioni), sequestri e intimidazioni sistematiche per la sola colpa di voler ballare liberamente.

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Una legge contro i rave sarebbe una cosa sbagliata, perché sbagliato è perseguitare una sottocultura musicale invece di provare a capirla. Di precedenti ce ne sono pochi e tutti a rischio "punto Godwin" per quanto sono estremi. Togliamoci quindi subito il pensiero e citiamo il primo e più gravoso esempio: il Regolamento per le orchestre del Reichsministerium für Wissenschaft, Erziehung und Volksbildung, ovvero il ministero della cultura nazista, che se la prendeva con lo swing e col jazz, colpevoli di "risvegliare istinti inferiori". Eccone un estratto:

I pezzi di foxtrot (il cosiddetto swing), non devono superare il 20% del repertorio delle orchestre di musica leggera; le cosiddette composizioni jazz non devono contenere più del 10% di ritmi sincopati; il resto deve essere composto da un naturale movimento legato, privo dei caratteristici ritmi isterici della musica delle razze barbare, che stimolano i bassi istinti; per quanto concerne il tempo, l’andamento non deve andare oltre un certo grado di allegro, commisurato al senso ariano di disciplina e moderazione.

Secondo esempio, facile e attuale: la ben nota persecuzione dei musicisti da parte dei talebani, che tanta indignazione non manca mai di suscitare presso il pubblico d'Occidente.

Terzo e quarto esempio: il Public Order and Justice Act del 1994, in Inghilterra, e la Legge Mariani del 2001, in Francia, entrambe volte a "proibire i raduni di musica ritmata" (razzismo musicale, proprio come il Reichsministerium!) che ci portano al punto successivo: una legge contro i rave sarebbe inutile.

Una legge contro i rave sarebbe una cosa inutile perché dal 1994 in Inghilterra ci sono stati migliaia di free party e in Francia, oggi, ci sono molte più feste del genere rispetto al 2001. Il proibizionismo, in ogni ambito, non limita mai il fenomeno che va a proibire: conduce solo a una orribile lotteria in cui una piccolissima quantità delle persone che concorrono al fenomeno subiscono pene draconiane, che possono rovinargli la vita, senza, al contempo, limitare in alcun modo le pratiche vietate. Oggi, nella Francia della Legge Mariani, ci sono 4-5 free party ogni fine settimana, e l'unica cosa che è cambiata rispetto al 2001 è che a volte, come è accaduto il 19 e 20 giugno 2021 a Redon, invece di attendere il deflusso pacifico dei partecipanti, vengono tentate operazioni si sgombero che si concludono in tragedia: a Redon un ragazzo ha perso una mano per una flashball lanciata dalla Gendarmerie, si sono viste scene letteralmente afghane, con gli agenti che sfasciavano le strumentazioni musicali con mazze e asce, e l'unico effetto recato dall'attacco è stata la non pulitura dell'area, per di più saturata di lacrimogeni, pulitura che è normalmente prassi tra i raver ma che è stata impedita dallo sgombero violento.

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Infine, una legge contro i rave nel 2021 sarebbe una cosa preoccupante, perché sarebbe un precedente clamoroso di legiferazione a partire da fake news. L'agitazione odierna attorno ai free party, che, tra piccolissimi, piccoli, medi e grandi hanno luogo a centinaia l'anno nel nostro paese da metà anni '90, deriva infatti da quella attorno a una festa specifica, il teknival Space Travel vol. 2, altrimenti detto "rave di Valentano", che è stato oggetto di una clamorosa campagna di fake news. Nei cinque giorni in cui si è svolto il teknival, peraltro un evento di mirabile qualità musicale, culturale e organizzativa, come ha testimoniato chi si è preso la briga di andare a vedere di persona, la stampa, innescata dall'annegamento di un ragazzo in un lago vulcanico a una mezz'ora dal sito del rave, ha parlato di morti, arresti cardiaci, stupri, coma etilici, parti nel fango, cani morti e aree protette violate. Qualcuno si è subito accorto che qualcosa, di quei racconti a fosche tinte, non tornava, e in molti, e molto presto, hanno cominciato l'operazione di debunking, tanto che l'eco delle false notizie e della loro smentita è arrivata anche all'estero. Dopo la smentita di stupri, parti, arresti cardiaci, cani morti e altre amenità, è arrivata anche quella della presunta area protetta (pareva strano che una landa brulla fortemente antropizzata lo fosse), corredata da opportune riflessioni in merito nonché da testimonianze e prove di tutt'altro ordine, è arrivato il colpo finale: il padre di Gianluca Santiago Camassa, il ragazzo scomparso, ha testimoniato che non era stato al teknival prima della tragedia. Anche il casus belli era quindi un falso.

Ora, ci chiediamo, è opportuno legiferare sulla base di false notizie, ancorché strumentalizzate da alcune parti politiche? Il lettore, o il ministro, può rispondere da solo, anche prima di aver letto tutti gli articoli linkati.

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