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Un augurio per il 2020: amate i deboli e i disperati

Per il 2020 vi auguro (ma lo auguro anche a me) di innamorarvi dei deboli e dei disperati. Vi auguro di togliervi dalla testa quella fottuta paura che vi prende, guardandoli, di diventare come loro. Se un disperato accende la disperazione allora significa che avete un serio problema con la speranza, con la vostra speranza, che non riuscite più ad accendere ogni mattina.
A cura di Giulio Cavalli
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Vi auguro di innamorarvi dei deboli e dei disperati. Me lo auguro anch'io, per me, per tutte le persone che mi stanno accanto. Vi auguro di non averne paura, repulsione e di non provare addirittura rabbia per loro. Un debole e un disperato sono frutti dei casi della vita che non sempre dipendono dalle sue decisioni, anzi quasi mai: si è deboli e disperati per gli infortuni della vita che non sono mica solo quelli che stanno scritti nelle ricette di un medico o tra le carte di qualche ospedale: gli infortuni sono degli accidenti che ci incastrano nel posto in cui siamo nati, nelle scelte che altri hanno compiuto per noi e nei meccanismi talvolta feroci dei contesti quando diventano un giogo.

Vi auguro di togliervi dalla testa quella fottuta paura che vi prende, guardandoli, di diventare come loro. Se un disperato accende la disperazione allora significa che avete un serio problema con la speranza, con la vostra speranza, che non riuscite più ad accendere ogni mattina. Anche la speranza spesso è appesa ai fili che non sono tutti nelle nostre mani. Vi auguro di riuscire a incrociare un povero senza essere assaliti dalla paura che possa essere contagioso e vi auguro di smetterla di considerarlo un segnale premonitore di chissà quale infausto destino. Un povero è un povero: se diventa uno specchio, il problema è di chi non riesce a guardare negli occhi la povertà.

Se potessi esprimere un augurio per l'anno che viene mi piacerebbe trovare il pulsante per invertire questo insano disprezzo per chi sta male, per chiunque stia male, che ha infettato questo tempo. Vi auguro di scoprire che la povertà non è virale, nemmeno la disperazione, ma tendere la mano anche solo avendo il coraggio di guardarla negli occhi è qualcosa che ci apre al resto del mondo, a tutto quello che non siamo noi, e ci fa essere parte del mondo.

Vi auguro di avere il coraggio di fare i conti con il mondo là fuori che è molto di più del vostro curato giardino e dei prossimi lavori nel condominio. Non è una questione di urgenze e di priorità: è la curiosità di pesare ogni volta i nostri privilegi e le nostre fortune misurandoli con gli abissi che abitano nel nostro stesso quartiere. Vi auguro di capire che se vi sentite paladini chiamati nella guerra contro gli ultimi significa che siete già lì, tra gli ultimi, forse penultimi, incapaci di guardare più in alto e strumentalmente occupati solo di quelli che sentite più in basso.

Vi auguro di smetterla di vivere in povertà (povertà di idee, povertà di valori, povertà di aspirazioni, povertà di ispirazioni) per paura della povertà e si smetterla di essere disperati per la paura della disperazione: la speranza è un muscolo che va allenato allungandolo ogni giorno di qualche centimetro in più e la speranza è il muscolo imprescindibile per fabbricare futuro. Vi auguro, mi auguro, ci auguro di incrociare un disperato e provare subito quell'atavica voglia di aiutarlo, per aiutarsi.

Sarebbe un 2020 bellissimo.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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