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Ucciso dalla mafia davanti al figlio di 17 anni: Mico Geraci, 21 anni di omertà

L’8 ottobre 1998 Domenico ‘Mico’ Geraci viene trucidato a fucilate sotto gli occhi sgomenti di suo figlio Giovanni, 17 anni, che dalla finestra assiste disperato all’omicidio di suo padre. Dopo 21 anni, l’omicidio dell’ex consigliere provinciale di Caccamo e futuro candidato sindaco nella ‘Svizzera della mafia’, resta ancora senza colpevoli. Secondo il boss Antonino Giuffré, Geraci fu ucciso perché voleva ripulire il consiglio comunale dalle infiltrazioni mafiose.
A cura di Angela Marino
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L'8 ottobre 1998 Domenico ‘Mico' Geraci viene trucidato a fucilate sotto gli occhi sgomenti di suo figlio Giovanni, 17 anni, che dalla finestra assiste disperato all'omicidio di suo padre, cercando di colpire i killer lasciando cadere il vaso di una pianta. Accade davanti alla sua abitazione di Geraci a Caccamo (Palermo), pochi istanti dopo che il suo collega lo ha fatto scendere dall'auto. Mico Geraci è una vittima innocente della mafia. Aveva 44 anni.

Alla fine degli anni Novanta, sei anni dopo le stragi, Caccamo era, come la definitiva il giudice Giovanni Falclone, ‘la Svizzera della mafia'. Geraci voleva candidarsi a sindaco, da poco si era lasciato alle spalle la vecchia DC per entrare nell'Ulivo di Beppe Lumia. Aveva preso di mira alcune anomalie del piano regolatore del comune, che secondo lui, nascondevano interessi occulti della mafia. La mafia che aveva insinuato i suoi gangli nella macchina comunale, tanto che a controllare l'affidamento degli alloggi pubblici, alla guida dei servizi sociali, c'era niente meno che Rosaria Stanfa, moglie di Antonino Giuffré, detto Nino, il ‘Manuzza', boss latitante e capo del mandamento di Caccamo. Geraci aveva puntato il dito anche contro di lei, invocando la legalità in comune sciolto per mafia 4 anni prima; la trasparenza, nella roccaforte del silenzio; il cambiamento, in un territorio dove signoreggiava un assetto di potere criminale di impianto medievale.

Prima di morire Geraci era sereno, ottimista. "A Caccamo la mafia non uccide più", diceva. Poi una sera di ottobre mentre stava rientrando a casa poco dopo le 20 e 30 sentì la presenza di un'auto che lo marcava stretto, una Fiat 1 dalla quale scese l'uomo che gli scaricò addosso cinque colpi di fucile a canne mozze. Geraci cadde a terra in un lago di sangue, si rialzò a fatica, poi ricadde di nuovo, mentre, richiamato dai colpi di fucile, il figlio Giovanni si affacciava alla finestra. Disperato, Giovanni tentò, invano, di neutralizzare i killer lanciandogli contro il vaso di una pianta.

Nonostante l'evidenza della matrice mafiosa, bisognerà attendere le dichiarazioni di ‘Manuzza', Nino Giuffrè per avere una traccia su cui indagare. Giuffé che da pentito ha raccontato di aver più volte respinto la richiesta di assassinare Geraci, presentata dalle altre famiglie e che l'omicidio dell'ex sindacalista sarebbe stato anche un messaggio inviato a lui da Bernardo Provenzano attraverso la famiglia Spera, che avrebbe messo a disposizione un suo uomo per l'agguato. Sia Provenzano che Benedetto Spera finiscono nel registro degli indagati nel 2002, ma le indagini si concludono con l'archiviazione. Non si conoscono i nomi dei killer, ma dopo 21 anni, si sa per certo chi è stato.

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