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Uccide il padre malato a Torino: “Era diventato violento e aggressivo”. Condannato a 12 anni

I fatti lo scorso aprile a Torino, il 71enne Enrico Sergi era morto dopo oltre due mesi di agonia. “Ero esasperato per la sua malattia neurodegenerativa, ho paura per mia madre”, aveva detto Raffaele Sergi, 46 anni. Oggi è arrivata la condanna a 12 anni di carcere.
A cura di Biagio Chiariello
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Raffaele Sergi
Raffaele Sergi

Lo scorso aprile aveva colpito il padre a Torino perché la malattia da cui era afflitto lo aveva reso ingestibile, aggressivo e anche violento verso la madre. Oggi, 6 marzo, Raffaele Sergi, 46 anni, è stato condannato a 12 anni per aver ferito mortalmente a martellate il padre Enrico, di 71, poi deceduto all'inizio di luglio all'ospedale Cto di Torino, dove era rimasto ricoverato per oltre due mesi.

L'imputato dopo essere stato arrestato e interrogato in carcere aveva subito detto di avere agito perché esasperato, come del resto tutti i suoi familiari, e preoccupato per sua madre a causa di una malattia neurodegenerativa che da qualche tempo aveva colpito il papà e che ne rendeva molto complicata la gestione in casa. Aveva spiegato di avere comunque agito in un momento di "black out mentale" e la Corte d'assise, oltre ad applicare le attenuanti generiche nella massima estensione, ne ha riconosciuto lo stato di seminfermità al momento del fatto.

L'aggressione era avvenuta il 29 aprile nel cortile di casa, in corso Bramante a Torino. Quel sabato mattina padre e figlio erano usciti per comprare il giornale. Una passeggiata culminata con i colpi alla testa dell'uomo con un martello abbandonato poi nel cortile. L'uomo aveva poi confessato agli agenti che lo avevano fermato vicino casa, mentre ne attendeva l'arrivo in un parco pubblico coi vestiti ancora sporchi di sangue.

Era proprio Raffaele Sergi, assieme alla madre, ex insegnante, ad assistere il padre. L'uomo, che non abitava coi genitori ma in un appartamento vicino e li aiutava recandosi spesso presso la loro abitazione, ha raccontato di averlo colpito perché esasperato a causa dei litigi in famiglia che nell'ultimo periodo era diventati sempre più frequenti per la malattia neurodegenerativa del genitore.

"Ricordo solo di avere pensato a mia madre – ha raccontato l'imputato – e di avere provato pietà". La Corte ha disposto, a pena detentiva espiata, tre anni di libertà vigilata con l'obbligo di seguire una terapia.

Gli avvocati difensori, Roberta Rossetti e Fulvio Violo, in aula hanno definito l'omicidio "l'epilogo di una tragedia annunciata", sottolineando che l'imputato soffriva da tempo di ansia e depressione quando "deflagrò come una bomba la malattia del padre", una gravissima neuropatologia degenerativa.

La moglie – hanno detto – lo accudiva 24 ore al giorno nonostante fosse diventato aggressivo e violento. Era disperata, ma non voleva rivolgersi ai servizi sociali e nemmeno assumere una badante. Il figlio, che lavorava, dava una mano come poteva, ma non bastava".

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