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Trattativa Stato-Mafia, Antonio Di Pietro: “Dopo Falcone e Borsellino dovevo essere ucciso io”

L’ex magistrato e senatore Antonio Di Pietro ha parlato come teste nel corso del processo sulla trattativa tra Stato e Mafia in corso presso la corte d’assise d’appello di Palermo: “Due giorni prima dell’omicidio di Borsellino il Ros mi informò: guardate che stanno ammazzando Borsellino e anche io dovevo essere ammazzato. Paolo fu ucciso perché indagava sulle commistioni tra la mafia e la gestione degli appalti”.
A cura di Ida Artiaco
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"Dopo Falcone e Borsellino dovevo essere ucciso io". A parlare è Antonio Di Pietro, che è intervenuto come teste al processo sulla trattativa tra Stato e Mafia in corso davanti alla corte d'assise d'appello a Palermo. L'ex magistrato e politico ha sottolineato che "due giorni prima dell'omicidio di Borsellino il Ros mi informò: guardate che stanno ammazzando Borsellino e anche io dovevo essere ammazzato". Ed ha poi aggiunto di essere convito che lo stesso "Paolo Borsellino fu ucciso perché indagava sulle commistioni tra la mafia e la gestione degli appalti. L'indagine mafia-appalti fu fermata. Come accadde con Mani pulite". Di Pietro ha anche raccontato un aneddoto, di cui è stato protagonista durante il funerale di Giovanni Falcone dopo la strage di Capaci: "Davanti alla sua bara, Borsellino mi disse: dobbiamo fare presto, dobbiamo vederci o sentirci nei prossimi. Dobbiamo trovare il sistema. Falcone, invece, fu il mio maestro nel campo delle rogatorie e mi disse di controllare gli appalti in Sicilia. Cioè l'indicazione era capire se imprese del Nord si fossero costituite in associazioni temporanee di imprese con imprenditori siciliani per l'aggiudicazione di lavori nell'isola".

L'ex magistrato è stato citato dalla difesa di uno degli imputati, l'ex capo del Ros Mario Mori, imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato. "Capii allora – ha aggiunto – che Borsellino si stava occupando di questo. Cosa di cui ebbi conferma dopo tempo, quando su input del Ros andai a sentire Giuseppe Li Pera, geometra della De Eccher che mi spiegò il sistema degli appalti in Sicilia e mi fece i nomi di Siino e Salamone". Ma Borsellino, il 19 luglio del 1992, venne assassinato e i due magistrati non ebbero il tempo di fare il punto sulla pista di Mani pulite che portava alla Sicilia. "Rimasi scosso. Anni dopo, quando Caselli arrivò a Palermo- ha spiegato – il coordinamento si fece e dopo uno scontro con Ingroia, entrambi volevamo fare le indagini, si stabilirono in una cena a casa di Borrelli le regole per poter indagare contemporaneamente in modo efficace sugli appalti".

Intanto, c'è un nuovo indagato per la strage di via D'Amelio a Palermo, nella quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta il 19 luglio 1992. Si tratta di Antonino Cinà, il medico di Totò Riina, che avrebbe preso in consegna il cosiddetto "papello" scritto dal boss mafioso, con le sue condizioni per fermare la stagione delle stragi, poi consegnato all'allora sindaco del capoluogo siciliano, Vito Ciancimino. Lo riporta il quotidiano La Repubblica, in riferimento all’inchiesta della procura di Caltanissetta che continua ad andare avanti per provare a dare un nome ai mandanti degli attacchi di quell'anno. Cinà, per altro, risulta già condannato a 12 anni nel processo "Trattativa Stato-mafia", la stessa che hanno avuto gli ex ufficiali Mario Mori e Antonio Subranni, protagonisti con l’allora capitano Giuseppe De Donno (ha avuto 8 anni) degli incontri con Ciancimino.

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