Torino: Dario muore per aneurisma, ma secondo i medici era solo mal di testa

A quattro anni dalla morte di Dario Rotella, 34enne piemontese, deceduto per un’emorragia non diagnostica, il tribunale di Ivrea oggi ha riaperto il processo nei confronti della radiologa dell’ospedale di Chivasso (difesa dall’avvocato Gino Obert) sott’accusa per omicidio colposo. Era il 27 ottobre del 2013 e Dario si presentò al pronto soccorso di Chivasso con un fortissimo mal di testa. Secondo i medici, però, il suo stato di salute non presentava alcuna criticità. Sei ore dopo era già a casa: Rotella venne dimesso dall’ospedale con una diagnosi di “cervicalgia, cefalea e torcicollo” e la prescrizione di antidolorifici. 18 giorni più tardi quel ‘mal di testa’ lo uccise: aveva un aneurisma celebrare di cui nessuno si sarebbe accorto. Era il 15 ottobre, Dario fu ricoverato all’ospedale Giovanni Bosco, venne sottoposto a un intervento chirurgico. Morì dopo tre giorni di coma.
La famiglia sporse denuncia e presentò la cartella clinica al professor Carlo Alberto Benech, specialista in neurochirurgia del Cto. Nella sua relazione, lo specialista evidenziò come già la Tac del 27 settembre fosse “suggestiva di emorragia” e come “l’errata diagnosi” avrebbe impedito che il paziente venisse sottoposto subito ad un intervento chirurgico che forse gli avrebbe salvato la vita. In una prima fase dell’indagine il pm aveva iscritto sul registro degli indagati sia la radiologa sia il medico del pronto soccorso, il quale è stato poi prosciolto. I legali della radiologa hanno basato la propria difesa sul fatto che la propria assistita non fosse specialista in Neurochirurgia. “Il quadro era sfumatissimo e la dottoressa non è una radiologa – ha spiegato il consulente della difesa, Lorenzo Varetto – . Aveva a disposizione un esame radiografico non superlativo e inoltre era impegnata nella sua seconda reperibilità". Una tesi, questa, respinta dagli avvocati della famiglia: “Il medico specialista che opera in un pronto soccorso dovrebbe essere consapevole delle proprie eventuali limitazioni, e quindi avrebbe dovuto, quantomeno, chiedere una seconda opinione invece di liquidare il paziente con una diagnosi di cervicalgia”.