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La strage di Erba di Olindo e Rosa

Strage di Erba, il dolore dei familiari delle vittime: “Speravamo fosse finita ma ci risiamo”

“Dopo tre gradi di giudizio davanti a 26 giudici, consentiteci di essere indignati e increduli nel sentire gente che definisce i colpevoli come innocenti vittime di una giustizia sommaria e faziosa” hanno dichiarato familiari di alcune delle vittime della strage di Erba alla luce della possibile riapertura del caso.
A cura di Antonio Palma
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Azouz Marzouk nel 2006 perse suo figlio Youssef, di 2 anni, e sua moglie Raffaella Castagna: un delitto per il quale sono stati condannati all’ergastolo due coniugi, Olindo e Rosa Romano. Ma per Azouz, che ancora chiede giustizia, “sono solo dei poveretti che stanno pagando la loro ingenuità”.
Olindo Romano e Rosa Bazzi
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“Speravamo fosse finita ma ci risiamo” è l’amaro commento dei familiari di alcune delle vittime della strage di Erba alla luce della possibile riapertura del caso, chiesta dalla difesa dei due condannati all’ergastolo, Olindo Romano e Rosa Bazzi, ma appoggiata pienamente anche dal Procuratore Generale di Milano, secondo il quale i due coniugi sarebbero innocenti e la loro condanna per la strage di Erba sarebbe figlia di gravi errori processuali.

Dopo giorni di notizie seguite all'atto con cui si chiede la riapertura del processo per gli omicidi del 2006, a parlare con un messaggio attraverso i social sono i fratelli Pietro e Beppe Castagna, che in quella strage hanno perso la sorella Raffaella Castagna, il nipotino  Youssef Marzouk di soli 2 anni, e la madre e nonna del piccolo, Paola Galli, uccisi insieme a una vicina di casa, Valeria Cherubini.

“Noi non diremo nulla. Non parleremo più con giornali o altro. Il nostro pensiero rimane quello espresso alcuni anni fa” hanno dichiarato i due fratelli che, dopo anni di silenzio sul caso, hanno postato un lungo commento risalente all’ottobre di cinque anni fa che riassume la loro posizione.

“Abbiamo vissuto anni di processi, visto decine di periti, ascoltato centinaia di ore di dibattiti, non dieci minuti di trasmissione ma davanti a una corte di primo grado a Como,  di secondo grado a Milano, una corte di cassazione a Roma  in anni di processo, tre gradi di giudizio davanti a 26 giudici, davanti a noi parenti delle vittime, non davanti ad una telecamera, non davanti a quel perverso meccanismo che deve solo "vendere" non verità,  ma torbide menzogne, menzogne tanto vigliacche che insinuano.  Il problema è che in questo meccanismo perverso ci sono vittime, persone e sentimenti, non un prodotto, non una nomination del Grande Fratello,  non una discussione da bar, non un rigore mancato su un campo di calcio, ma delle persone, con una vita o quello che ne rimane di essa, e sopravvivere, da anni, a questo meccanismo  non solo è difficile, ma profondamente ingiusto” recita il lungo post.

“Ora, non sta a noi, né difendere la procura né gli inquirenti né il loro operato, consentiteci di difendere però la verità,  che per noi è solo una, consentiteci di essere indignati e increduli nel sentire gente che definisce i colpevoli come innocenti vittime di una giustizia sommaria e faziosa, definiti addirittura come ‘un gigante buono e una gracile signora’. Questo gigante buono e questa gracile signora hanno ucciso brutalmente nostra madre, nostra sorella, nostro nipotino, la signora Valeria, hanno tentato di uccidere il signor Mario, spezzando pochi anni dopo la sua vita e la vita di nostro padre, facendo vivere a me e a Beppe, a Elena e Andrea Frigerio un incubo continuo” continua il post su facebook, che conclude: “La superficialità è meno faticosa del pensiero consapevole e chi sfrutta questa debolezza di molti solo per fare audience o per crearsi carriere o visibilità,  è un vigliacco”.

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