Stidda e Cosa Nostra insieme per Mazzarino: i carabinieri mettono a segno 27 arresti

I carabinieri del comando provinciale di Caltanissetta hanno eseguito 27 arresti nell'ambito di una vasta operazione antimafia che si è sviluppata tra la Sicilia, l'Umbria, le Marche e la Lombardia. Nello specifico, le ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite nelle città di Caltanissetta, Enna, Spoleto, Fossombrone, Monza, Brescia, Cinisello Balsamo e nei centri siciliani di Sambuca e Paternò. L'operazione è stata eseguita con un grande dispiegamento di forze e di mezzi: elicotteri, unità cinofile, 130 militari e 50 mezzi.
In manette alcuni esponenti di spicco della Stidda (organizzazione malavitosa che opera ad Agrigento, Caltanissetta, Enna e Ragusa) e di Cosa Nostra di Mazzarino, comune di 12mila abitanti in provincia di Caltanissetta. Le accuse che pendono sugli arrestati sono quelle di associazione mafiosa, estorsione, traffico di stupefacenti, detenzione e porto illecito d'arma.
Gli inquirenti hanno appurato che l'organizzazione delle attività criminali a Mazzarino era gestita da una sorta di joint venture tra i due clan della Stidda e di Cosa nostra, tradizionalmente rivali ma stavolta legati insieme da un patto di solidarietà e non belligeranza. Nello specifico i due clan si sarebbero divisi equamente i proventi derivanti da traffici illeciti quali le estorsioni e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Insieme, poi, gestivano le partite di droga provenienti da Enna e Caltanissetta, piazzandole sul mercato di Mazzarino. In nome del business, insomma, anche i clan malavitosi riescono a mettere da parti le vecchie ruggini.
I vertici dei clan, sebbene in carcere, riuscivano a comunicare tra loro e passare ai picciotti tutte le istruzioni del caso tramite dei pizzini o nel corso dei colloqui con i propri familiari. Una struttura ben studiata che costringeva anche gli imprenditori a fare la loro parte. Alcuni di loro, sotto minacce, erano infatti costretti ad assumere in maniera fittizia parenti dei bossi, al fine di consentire loro di beneficiare del regime dell'affidamento in prova ai servizi sociali invece della detenzione carceraria.