Scrive ‘ne*ro’ su fascicolo in tribunale, avvocato di Forlì sospeso: “Pregiudizio per professione forense”

Un avvocato romagnolo è stato sospeso per due mesi dal Consiglio Nazionale Forense per aver utilizzato, su un proprio fascicolo di studio, l’epiteto “ne*ro” per indicare la controparte, un cittadino nigeriano. L’episodio risale al febbraio 2020, quando il documento venne esibito durante un’udienza davanti al GIP di Ravenna.
Secondo il CNF, quel gesto rappresenta una violazione dei principi di probità, dignità e decoro che regolano l’attività forense. Nella decisione si legge che l’uso di espressioni razziste o comunque offensive non è compatibile con la professione di avvocato, e arreca "grave pregiudizio per l'immagine e la dignità della professione forense".
La difesa: "Io vittima di cancel culture"
Il legale, che aveva già ricevuto una prima sanzione dal Consiglio distrettuale di disciplina di Cesena, aveva fatto ricorso sostenendo di essere vittima di un clima di “cancel culture”. Nelle memorie difensive, l’avvocato aveva addirittura dedicato dieci pagine a spiegare perché, a suo avviso, il termine “Ne*ro” non dovesse essere considerato offensivo.
La linea difensiva si è spinta fino a ipotizzare un intento persecutorio da parte dei magistrati coinvolti, attribuendo la sanzione a divergenze di natura politica. Argomentazioni che però non hanno convinto i giudici disciplinari, i quali hanno confermato la sospensione.
La decisione del CNF
Il Consiglio ha sottolineato come il comportamento tenuto dall’avvocato dimostri una “macroscopica mancanza di correttezza e stile professionale”, soprattutto considerando che il termine incriminato compariva sulla copertina di un fascicolo ufficiale, parte integrante dell’attività processuale.
La vicenda, oltre a colpire l’interessato, solleva anche un tema più ampio: quello del linguaggio utilizzato nei contesti professionali. In un settore dove il rispetto delle regole formali è parte integrante della deontologia, l’uso di parole discriminatorie non può essere liquidato come una leggerezza o, peggio, come un atto di libertà di espressione.