“Sapere di non essere soli cambia tutto”: la diagnosi di SLA per Davide e il supporto trovato nei centri NeMo

"In un attimo la mia vita è cambiata: paura, incredulità, smarrimento si sono mescolati a un senso di ingiustizia. Ci si sente fragili, esposti, e ogni programma futuro sembra dissolversi. Ma insieme a questa paura, è subentrata una consapevolezza: non potevo arrendermi".
Così Davide Rafanelli, 56 anni, ricorda a Fanpage.it il momento in cui ha ricevuto la diagnosi di SLA, malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale, quelle che permettono i movimenti della muscolatura volontaria, arrivata nel 2021.

Rafanelli è consigliere nazionale di AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e membro del Consiglio Direttivo dei centri clinici NeMO, strutture di riferimento per la cura e la ricerca sulle malattie neuromuscolari, promosse dalle associazioni dei pazienti e in alleanza con Istituzioni e comunità scientifica.
Il fondatore di questo modello tutto italiano, Alberto Fontana, il 2 dicembre ha ricevuto l'Allied Health Professional Award 2025, un riconoscimento internazionale che premia l’impatto concreto nella cura dei pazienti con SLA e Malattia del motoneurone (MND).
Una traguardo significativo raggiunto alla vigilia della Giornata internazionale delle persone con disabilità, che ricorre oggi, mercoledì 3 dicembre.

Rafanelli ci racconta di essersi avvicinato ai centri NeMo per cercare un percorso di cura che gli restituisse "dignità e autonomia, ma anche che coinvolgesse davvero la mia famiglia".
"Ho capito subito che affrontare la SLA da soli era impossibile, e che la mia battaglia doveva diventare una sfida condivisa, dove ogni piccolo progresso valeva come una vittoria di tutti", ha aggiunto.
Come hai scoperto i Centri NeMo? In precedenza, ti eri rivolto ad altre strutture?
Prima mi ero rivolto a strutture tradizionali, dove ci sono eccellenze – neurologie, pneumologie, nutrizionisti – ma spesso ogni reparto operava separato.
Ai Centri NeMO, invece, tutto ruota intorno alla persona e dietro c’è un tessuto straordinario: AISLA, con i volontari e il sostegno continuo alle famiglie, rende possibile che medici, terapisti, psicologi e specialisti lavorino insieme, coordinati, costruendo percorsi che guardano alla mia vita e a quella della mia famiglia, quanto alla malattia stessa.
Quali differenze hai notato nell’approccio al paziente?
La differenza è l’umanità. Non ci si ferma alla diagnosi, ma si viene accompagnati lungo tutto il percorso della malattia. Sentirsi ascoltati, guidati passo dopo passo e supportati insieme alla mia famiglia in ogni scelta e momento difficile, fa sentire davvero protagonisti.
E c’è la consapevolezza di far parte di un progetto più grande, in cui ciascuno – paziente, famiglia, medici e operatori – contribuisce attivamente a costruire un percorso di cura e, un giorno, a trovare una soluzione per questa malattia.
Quali attività svolgi nel centro? Che impatto hanno sulla tua vita e sul modo in cui tu e la tua famiglia affrontate la patologia?
Ho un monitoraggio periodico dal punto di vista neurologico, respiratorio, riabilitativo, logopedico e nutrizionale. Posso contare sul supporto psicologico per me e la mia famiglia e, per ogni necessità legata ai cambiamenti della patologia, so a chi fare riferimento.
Tutto questo, per la mia famiglia, è supporto e serenità: sapere di non essere soli cambia tutto. AISLA accompagna ogni giorno noi pazienti e le nostre famiglie, con sostegno pratico, ascolto e presenza costante. La SLA resta difficile, ma grazie a loro la vita diventa più gestibile e piena di piccoli momenti di normalità.
Alberto Fontana, fondatore dei Centri NeMo, premiato con l'Allied Health Professional Award 2025
Alberto Fontana è il fondatore di questa rete nazionale di eccellenza, dedicata alla presa in
carico delle persone con malattie neuromuscolari, tra cui la SLA e Malattia del motoneurone, e alla ricerca su queste patologie.

Oltre 20mila persone sono state e vengono assistite in 8 sedi sul territorio italiano (a Milano, Roma, Arenzano, Napoli, Brescia, Trento, Ancona, Bologna), in continuità con il Sistema Sanitario Nazionale.
A Fanpage.it Fontana ha raccontato il progetto (nato nel 2008 con l'apertura del centro di Milano) e l'impatto che ha voluto dare sulla vita delle persone che vengono seguite dai centri.
Che cosa sono i centri NeMo? Come e perché sono nati?
Nei NeMO la sfida è chiara: non trattare la malattia come un’emergenza da spegnere, ma accompagnare la persona e la sua famiglia in ogni aspetto della vita. Non bastano competenze cliniche: serve un’alleanza tra professionisti.
Ho immaginato un luogo dove medici, terapisti, psicologi e altri specialisti lavorassero insieme, con un progetto clinico e umano integrato. Un luogo dove la diagnosi non è una condanna, ma l’inizio di un percorso dove dignità e speranza fossero priorità di cura.
I Centri NeMO sono nati perché associazioni, volontari, famiglie e istituzioni hanno rifiutato l’idea che le malattie neuromuscolari siano un destino scritto.
Mattone dopo mattone, abbiamo costruito centri in cui la cura è relazione. Oggi, anche grazie al riconoscimento internazionale, NeMO è un modello che dà voce, dignità e futuro a chi convive con la malattia.
Che significato ha per un paziente essere rimesso al centro come persona e non come “malato”? Cosa significa anche prendersi cura delle famiglie, spesso trascurate?
NeMO nasce dal desiderio delle associazioni di pazienti di essere non solo curati, ma davvero ascoltati. Partendo dai bisogni reali delle persone, si è sviluppato un modello innovativo, reso possibile dal contributo di tutti i protagonisti della cura: operatori sanitari, direttori dei centri e chi ha avuto il coraggio di accettare questa sfida.
Con il sostegno delle Regioni Lombardia, Liguria, Lazio, Campania, Marche, Emilia-Romagna e della Provincia Autonoma di Trento, il sogno iniziato a Milano nel 2008 è oggi una realtà concreta, capace di rispondere ogni giorno alle sfide poste da malattie complesse, come la SLA.
Ricevere questo premio cosa rappresenta per lei, per il suo lavoro e per tutte le persone che hanno patologie neuromuscolari?
Prima di tutto voglio ringraziare chi ha creduto in questo progetto fin dal primo giorno, mettendo a disposizione competenza, impegno e vicinanza alla nostra comunità. Alle associazioni che si sono messe in gioco, capaci di supportare e prendersi cura delle persone in un contesto complesso come quello sanitario, dove anche l’errore fa parte del percorso di cura.
Questo premio non è solo mio, è il frutto di un lavoro condiviso. E la mia speranza è che il viaggio iniziato 17 anni fa continui, raggiungendo sempre più persone che nel nostro Paese sono quotidianamente alla ricerca di chi si prenda cura di loro.