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Ricoverata da poche ore per allucinazioni, 41enne muore in psichiatria a Livorno: aperta inchiesta

Donna trovata morta nel bagno del reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno, dove era stata ricoverata da poche ore. Si ipotizza un gesto volontario. Secondo quanto emerso, la 41enne stava attraversando un periodo di forte fragilità.
A cura di Biagio Chiariello
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Una donna di 41 anni è stata trovata senza vita nella notte tra il 26 e il 27 dicembre all’interno di un bagno del reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno. Era stata ricoverata nel pomeriggio di Santo Stefano, con il suo consenso, dopo essersi presentata al pronto soccorso per alcune allucinazioni che la tormentavano da giorni.

Secondo una prima ricostruzione, la morte sarebbe avvenuta per soffocamento. Stando a quanto riferito dal personale sanitario e riportato nelle prime comunicazioni agli inquirenti, si tratterebbe di un gesto volontario. La donna si trovava da sola nella toilette del servizio psichiatrico di diagnosi e cura quando si è consumata la tragedia. I sanitari se ne sarebbero accorti troppo tardi: ogni tentativo di rianimazione si è rivelato inutile.

Sulla vicenda la procura ha aperto un’indagine, affidando ai carabinieri l’acquisizione della cartella clinica e l’ascolto del personale che aveva preso in carico la paziente. Al momento non risultano indagati, mentre la salma resta sotto sequestro. Non è escluso che nei prossimi giorni venga disposta l’autopsia per chiarire con precisione le cause del decesso.

La notizia è stata comunicata alla figlia intorno all’una di notte. La giovane, insieme ad altri familiari, si è precipitata al padiglione 10 dell’ospedale, dove però non le è stato consentito l’accesso per ragioni di sicurezza e procedure interne. Ne sono scaturiti momenti di forte tensione, tanto da rendere necessario l’intervento di una pattuglia dei carabinieri. Poco dopo, la figlia ha presentato denuncia, dando formalmente avvio agli accertamenti.

La 41enne, secondo quanto emerso, stava attraversando un periodo di forte fragilità. Era uscita dal carcere due settimane prima e da allora le sue condizioni psichiche si erano progressivamente aggravate. Dopo i primi controlli in pronto soccorso, nel pomeriggio di Santo Stefano i medici avevano disposto il ricovero nel reparto di psichiatria, dove la donna era entrata intorno alle 15.

Parallelamente all’inchiesta giudiziaria, anche l’Asl Toscana nord ovest ha attivato un audit interno per verificare il rispetto delle procedure e valutare eventuali criticità nell’organizzazione e nella gestione del reparto. L’azienda sanitaria ha fatto sapere di collaborare pienamente con gli inquirenti, pur evitando commenti nel merito.

La morte della donna ha riacceso il dibattito sulle condizioni della psichiatria ospedaliera. A intervenire è Riccardo Bientinesi, presidente dell’associazione livornese Avofasam, che da anni si occupa di salute mentale. "Il reparto di psichiatria non dovrebbe essere il centro delle cure – sottolinea al Tirreno – ma l’ultima risorsa, quando le strutture territoriali non riescono più a rispondere. Oggi, invece, queste vengono progressivamente chiuse e tutto finisce per gravare sull’ospedale".

Secondo Bientinesi, il problema non è solo la sicurezza, ma l’isolamento. "Le persone con disturbi mentali devono essere assistite in modo umano, non rinchiuse. Serve una rete sul territorio capace di intercettare il disagio prima che esploda".

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