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Perse feto in ospedale, la Cassazione: “Ok risarcimento. Danno è sofferenza, non perdita relazione”

La Corte di Cassazione ha aperto la strada a un maxi risarcimento per una coppia che aveva perso il feto della figlia in gestazione a causa di un errore medico: “Il vero danno nella perdita del rapporto parentale è la sofferenza, non la relazione”.
A cura di Davide Falcioni
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È stato un caso di malasanità a causare la morte di una bambina – figlia di una coppia piemontese – alla trentunesima settimana di gestazione: a stabilirlo la Corte di Cassazione dopo il ricorso presentato dai protagonisti della drammatica vicenda, foriera di sofferenze e importanti strascichi psicologici. Sia in primo che in secondo grado il processo aveva accertato responsabilità da parte dei medici e disposto dei risarcimenti, ma la sentenza secondo i genitori della piccola non aveva tenuto debitamente in conto il dolore causato loro. Per questo si erano rivolti alla Cassazione.

Secondo quanto accertato durante il dibattimento – di cui dà conto Repubblica – quando la madre della bambina si recò in ospedale aveva forti contrazioni ed aveva perso liquido amniotico restando però per 4 ore in attesa di un taglio cesareo che se eseguito tempestivamente, "con elevata probabilità avrebbe evitato la sofferenza del feto e la sua morte ". I medici, invece, dopo aver monitorato il battito cardiaco fetale tentarono di trasferire la gestante in un altro ospedale, dove le condizioni cliniche della nascitura peggiorarono e venne alla luce già priva di vita. La famiglia denunciò l'Asl e la perizia medico legale chiesta dal tribunale civile di Verbania evidenziò "profili di negligenza e imperizia a carico dei sanitari "; l'Asl fu dunque condannata. I giudici, tuttavia, non avevano tenuto considerazione gli strascichi che la vicenda aveva avuto nella famiglia e sulla donna in particolare, che viveva in uno stato d'ansia con incubi permanenti.

Il tribunale aveva disposto un risarcimento "a titolo di danni per malpractice sanitaria" di 120 mila euro alla madre, 100 mila al padre e 30 mila per il fratellino. Dopo il ricorso in appello i giudici della corte avevano qualificato "il panico, gli incubi e il mutamento delle abitudini di vita, conseguenti alla morte del feto in utero, quale danno assolutamente avulso rispetto alla domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali patiti per la perdita del frutto del concepimento". La  famiglia non si è però arresa ed è ricorsa anche in Cassazione: il giudice Giacomo Travaglino ha riconosciuto la fondatezza della richiesta dell'uomo e della donna e ha chiarito che "il vero danno nella perdita del rapporto parentale è la sofferenza, non la relazione". Il Processo tornerà quindi in Corte d'Appello e i giudici dovranno stavolta rivalutare la richiesta di risarcimento della famiglia alla luce di altri pronunciamenti della Cassazione ( l'ultimo nel 2020) in tema di danno da perdita del rapporto parentale, " valorizzando appieno l'aspetto della sofferenza interiore patita dai genitori, poiché la sofferenza morale, allegata e poi provata anche solo a mezzo di presunzioni semplici, costituisce assai frequentemente l'aspetto più significativo del danno ".

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