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Opinioni

Perché un aiuto economico non può sostituirsi alla libertà di scelta sull’aborto

Cercare di convincere le donne a non abortire aiutandole (poco) economicamente è un metodo che la Politica usa ideologicamente e per nascondere le proprie carenze in ambito di sostegno alla parità.
A cura di Jennifer Guerra
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Sean Gallup/Getty Images
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Nonostante le polemiche delle ultime settimane, la Regione Piemonte ha approvato lo stanziamento di 400mila euro per il fondo “Vita nascente”, che dovrebbe aiutare le donne in difficoltà economiche che vogliono interrompere una gravidanza indesiderata. I soldi in questione non vengono erogati direttamente alle donne, ma a 23 associazioni antiabortiste iscritte all’Asl piemontese, che si faranno carico – in sostanza – di dissuadere le donne ad abortire. L’iniziativa è stata proposta dall’assessore con deroga alle Politiche sociali Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia, che non è nuovo a iniziative del genere: nel 2020 quando ancora era assessore ai rapporti con il Consiglio regionale, Marrone aveva già provato a far passare la stessa delibera e, dopo che il Ministro della Salute aveva modificato le linee guida sull’aborto farmacologico eliminando l’obbligo di ricovero e aumentando il termine delle settimane di gestazione, lo stesso assessore le aveva rigettate appellandosi alla competenza della Regione in materia sanitaria.

Un sostegno economico per convincere le donne a non abortire non è una novità ed era già stato presentato in Lombardia nel 2010 e poi proprio in Piemonte nel 2012 dall’ex assessore del Popolo della libertà Gianluca Vignale. Tutte queste proposte, che arrivano da amministrazioni del centrodestra, partono dall’assunto che quelli economici siano i principali motivi che spingono una donna a interrompere una gravidanza. Molte iniziative di gruppi antiabortisti si occupano proprio di offrire un contributo in denaro alle donne a cui si rivolgono. Il progetto Gemma del Movimento per la vita, uno dei più estesi gruppi antiabortisti in Italia, si presenta come una “adozione prenatale a distanza” tramite cui chiunque può sostenere, attraverso delle donazioni, una donna in difficoltà economiche per il primo anno di nascita del figlio. Il problema è che sempre più spesso si tenta di affiancare alle donazioni private finanziamenti con soldi pubblici: la delibera di Marrone del 2020 citava proprio il progetto Gemma come destinatario dei soldi della Regione; lo stesso si è provato a fare, senza successo, nel Comune di Bergamo e a Pescara lo scorso anno e nel 2020 in quello di Iseo (Brescia).

Chi difende queste forme di finanziamento sostiene di volersi limitare all’applicazione della prima parte della legge 194, quella che riguarda la rimozione delle cause dell’aborto. Nell’atto pratico, però, non si tratta di proporre un’alternativa all’interruzione di gravidanza, ma di convincere le donne con una cifra peraltro irrisoria (166 euro al mese per 18 mesi, 9 della gravidanza e 12 dopo la nascita) a non abortire. Questa opera di convincimento avviene spesso attraverso una forte pressione emotiva nel momento in cui molte donne si trovano in uno stato di difficoltà e vulnerabilità: all’interno degli ospedali. Diversi Centri di aiuto alla vita del Movimento per la vita (ormai più numerosi delle strutture in cui è possibile fare un’interruzione volontaria di gravidanza in Italia) hanno sede direttamente nei reparti di ginecologia. Come hanno dimostrato numerose inchieste, le donne che chiedono il certificato per l’Ivg vengono invitate dal personale medico a fare “consulenze” con queste associazioni – che spesso non dichiarano esplicitamente di essere contrarie all’aborto – che forniscono informazioni fuorvianti sulla procedura e lavorano sul senso di colpa. Se a queste pressioni si aggiunge anche l’offerta di un aiuto economico, è difficile pensare che si tratti solo di un supporto disinteressato e imparziale. Queste associazioni possono operare all’interno degli ospedali e, nel caso del Piemonte, trovano anche la porta aperta: a marzo del 2021, sempre Marrone aveva aperto un bando della Regione per far entrare negli ospedali pubblici le associazioni per “aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.

Non possiamo inoltre sapere se è vero che la maggior parte degli aborti avvengono per motivi economici, perché la relazione annuale sull’Ivg in Italia non raccoglie le motivazioni delle donne che interrompono una gravidanza. Sarebbe una violazione della privacy, oltre che un’operazione che si presterebbe a facili strumentazioni. Esistono però dati sulle caratteristiche demografiche delle donne che abortiscono. Innanzitutto, bisogna sfatare il mito della ragazza sprovveduta che si ritrova incinta e “costretta” ad abortire: la maggior parte delle Ivg in Italia sono fatte da donne che hanno tra i 30 e i 34 anni, in possesso di un titolo di studio superiore e che nel 50% dei casi sono occupate (una cifra coerente con i tassi di occupazione della popolazione femminile italiana).

Ma al di là di quello che possono dirci i dati, tutti i motivi sono validi e legittimi per interrompere una gravidanza. La possibilità di abortire non deve essere una concessione a determinate condizioni, ma un servizio essenziale garantito a chiunque voglia usufruirne. E se gli ostacoli economici fossero davvero l’unico deterrente a non portarla avanti, la mancia serve a ben poco. Lo stesso zelo con cui si finanziano le associazioni antiabortiste potrebbe essere riservato, ad esempio, alla costruzione di asili nido, all’incentivazione dell’occupazione femminile, all’eliminazione del divario salariale tra uomini e donne, alla creazione di congedi di paternità. Ma guarda caso, su queste iniziative è difficile trovare impegnati quegli esponenti della destra più o meno estrema a cui la salute e la dignità delle donne sembra interessare solo per i 18 mesi per i quali è previsto l’assegno.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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