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Perché in Italia sono aumentati i femminicidi durante la pandemia di Covid-19

Uomini che uccidono le donne. Alessandra Zorzin è solo una delle ultime. Ma la cronaca delle ultime settimane denuncia un bollettino quasi quotidiano e mostra un incremento di femminicidi inarrestabile come testimoniano i dati Istat e del Viminale: dall’inizio dell’anno sono stati commessi 197 omicidi, il 41% dei quali ha per vittime le donne.
Anna Vagli
Criminologa
A cura di Anna Vagli
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Mai come in questo periodo storico si parla tanto di violenza sulle donne. Se ne parla perché mai come ai giorni nostri le donne sono vittime di vessazioni agghiaccianti da parte degli uomini. È un’emergenza nazionale, quasi un bollettino da crimini di guerra. E Marco Turrin, 38 anni, è l’ultimo di un lungo elenco di coloro che se ne sono resi responsabili. Ha cancellato il volto e l’esistenza di Alessandra Zorzin, 21 anni appena, con la violenza ustionante di un colpo di pistola calibro 9. Un colpo a bruciapelo che ha sparato per vendicare l’oltraggio del rifiuto, mostrando di non possedere l’attrezzatura emotiva per gestirlo. Come se la violenza fosse l’unico modo per sventrare la minaccia della perdita.

Quando una donna imbocca una nuova strada, prosegue. E gli uomini, che siano rifiutati o abbandonati, vogliono giustizia. Uomini deboli che non accettano l’autonomia femminile e invece di capire che cosa non funzioni nella propria vita considerano le donne responsabili dei propri fallimenti. Il bilancio denunciato dalla cronaca delle ultime settimane è quasi quotidiano, drammatico e inaccettabile. Delinea una società incapace di cambiare, un’Italia che di giorno legifera inasprendo le pene e di sera conta le morte.  Di genere si muore. Alessandra, e poco prima Vanessa Zappalà, uccisa dall’ex fidanzato ad Acitrezza, sono solo le ultime in ordine di tempo.

Le loro “croci rosa” mostrano un altro dato della nostra epoca che desta non poca preoccupazione: l’aumento delle sanzioni per arginare il femminicidio non è risolutorio. E non lo è perché gli assassini, dopo aver rivendicato l’onore, si tolgono la vita. E lo fanno mostrando di non avere interesse rispetto alle pene previste o alle conseguenze legali dei loro atti. Non riconoscono valore alle leggi e ai loro rappresentanti, ma solo al desiderio di dominare e punire la donna, rea di aver fatto una scelta autonoma. Parlare di femminicidio forse stride. Però è utile. Utile a descrivere quella categoria di delitti commessi in danno di una donna in quanto tale.

Ad aggravare ulteriormente il fenomeno ha pensato la pandemia, che ne ha scritto una nuova pagina di storia. Le statistiche descrivono con la freddezza dei numeri come le politiche di contenimento del virus abbiano inciso in maniera esponenziale sugli episodi di violenza di genere. Nel primo semestre del 2020, stando al rilevamento dell’Istat dedicato agli omicidi pubblicato qualche settimana fa, i femminicidi sono stati pari al 45% degli omicidi, contro il 35 % dei primi mesi 2019. La percentuale ha poi avuto il picco maggiore del 50% durante il lockdown nei mesi di marzo e aprile. Un incremento con soluzione di continuità è però riscontrato anche in questo 2021, seppur in lieve calo. I dati divulgati lo scorso 17 settembre dal Viminale mostrano come, dei 197 omicidi commessi dall’inizio dell’anno, il 41 % abbia per vittime le donne. Di queste, il 62% sono state uccise per mano di partner o ex partner.

Un femminicidio non trova giustificazione alcuna. E un assassino è un assassino, sempre. Tuttavia, il regime di convivenza forzata, unitamente alla prospettiva di un futuro incerto, si sono rivelati detonatori di situazioni già difficili. Interminabili prove di resistenza fisica e psicologica che hanno finito con il consegnare le donne nelle mani del proprio aguzzino. Dati alla mano, difatti, la maggior parte dei femminicidi si consuma all'interno delle mura domestiche.

L’emergenza Covid-19 ha reso più fragili i soggetti, li ha resi incapaci di gestire le proprie emozioni e refrattari di fronte ad un’esistenza dal futuro incerto. Soggetti privati della capacità di controllare l’impulsività e di accettare l’indipendenza della donna.

Si parla spesso di inasprire le pene. Ma forse, per contrastare il fenomeno, serve anche altro. Serve sdradicare lo stereotipo di genere favorendo l’educazione al rispetto. Un’educazione che deve partire dalle scuole, primo luogo in cui insegnare la parità e l'osservanza delle regole.

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