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La scomparsa di Kata a Firenze

Perché i genitori di Kata potrebbero aver taciuto importanti informazioni sul rapimento della figlia

Il linguaggio non verbale di Katherine Alvarez, madre di Kata, confermerebbe l’ipotesi del Gip. I genitori potrebbero non aver detto tutto all’autorità giudiziaria: i segnali del linguaggio non verbale.
A cura di Anna Vagli
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Kata, la bimba scomparsa a Firenze
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Dopo l’arresto di Domenique, lo zio materno di Kata, fortissime sono state le parole pronunciate dal Gip di Firenze nei confronti della famiglia della bambina scomparsa lo scorso 10 giugno dall’ex hotel Astor.

Difatti, l’autorità giudiziaria ha chiaramente dichiarato che “I genitori hanno taciuto importanti informazioni sul rapimento”. Non avendo gli stessi neppure rivelato cosa accaduto una decina di giorni prima del rapimento della bambina. Quando un uomo, per salvarsi da un’aggressione da parte di chi voleva cacciarlo dall’ex hotel Astor, si è lanciato nel vuoto.

In verità, che ci fosse un atteggiamento omertoso da parte dei familiari della piccola Kata, lo si poteva evincere anche dal linguaggio del corpo della madre durante le interviste televisive.

In questo senso, sin dalle prime apparizioni, Katherine Alvarez avrebbe cercato di limitare il più possibile il contatto visivo con i giornalisti, verosimilmente per evitare di apparire inquieta o nervosa. E lo avrebbe fatto indossando cappello e occhiali anche nei concitati momenti immediatamente successivi alla scomparsa. Il contatto visivo è fondamentale nella comunicazione umana. Lo sguardo può essere utilizzato per stabilire connessioni ed esprimere emozioni. Per questo motivo, per comprendere se una persona mente, occorre analizzare non solo il linguaggio verbale, ma anche quello che contemporaneamente comunica il suo corpo. Vale a dire il suo linguaggio non verbale.

Tanto per capirci. Quando una madre sperimenta un contesto emotivo come quello della scomparsa di una figlia che potrebbe essere ovunque, o addirittura non esserci più, non pensa a preservare l’immagine o a nascondersi dietro gli occhiali da sole o la visiera di un cappello. Questa è psicologia spicciola. In questa direzione, il viso è la parte più coinvolta nel tentativo di mascherare l’inganno. E ciò perché è proprio il volto ad essere lo specchio delle nostre emozioni.

Per questo, quando proviamo emozioni negative come il senso di colpa, l’area limbica del cervello – che è la sede delle nostre emozioni – suscita una reazione spontanea che è visibile per alcuni secondi e poi lascia cadere la maschera. Chiaramente, quando raccontiamo una bugia di poco conto, non si verifica sul volto alcuna fuga di informazione. In caso contrario, quando le menzogne hanno un certo peso, l’intenso sforzo fisiologico che ne consegue genera micro-espressioni facciali capaci di svelare l’inganno.

Perché indossava cappello e occhiali?

Indossare occhiali può essere un modo per nascondere eventuali segni che potrebbero tradire la menzogna. Per questo, il cappello e gli occhiali vengono spesso utilizzati da chi cerca di proteggere o celare le emozioni, specialmente se la persona si sente vulnerabile o insicura perché non è del tutto sincera, omette informazioni o addirittura mente del tutto. Procedendo nell’analisi comportamentale, pur non volendo colpevolizzare nessuno, chi indossa occhiali e cappello durante una conversazione che non li richiederebbe per il contesto emotivo, può – più o meno consciamente – cercare di creare una sorta di distanza emotiva nei confronti dell’interlocutore. Per evitare un contatto visivo troppo intenso che potrebbe aumentare il senso di colpa o l'ansia legata alla menzogna. O comunque alla consapevolezza di non esprimere emozioni congruenti con quello che dovrebbe essere il normale stato d’animo richiesto da una data situazione. Come quella di un rapimento. A ciò, poi, si colleghino anche i tentativi ravvicinati di suicidio posti in essere sia dalla madre che dal padre di Kata. Perpetrati peraltro con le medesime modalità. Anche questo potrebbe essere un chiaro e consapevole messaggio in codice per i rapitori.

Le interviste rilasciate dopo il rapimento

Radicalmente opposto, invece, è stato l’atteggiamento assunto nell’interviste rilasciate dalla madre di Kata dopo l’arresto del fratello e le perquisizioni nella sua abitazione. Difatti, la donna si è presentata senza cappello e senza occhiali da sole. E questo ha permesso di notare come, sul suo volto, fossero totalmente assenti i comuni segni del dolore: nessuna ruga sulla fronte, sopracciglia aggrottate o labbra tese. Al contrario, quando la donna – nell’intervista rilasciata a Rai news a seguito dell’arresto del fratello – afferma: “Spero veramente che qualcosa si tirerà fuori”, scuote la testa in maniera eccessiva. Dando vita a quello che, in analisi comportamentale, chiamiamo incongruenza. Perché con il corpo tende a negare ciò che si afferma con le parole.

Ma non è tutto. Nel farlo compie altri gesti nervosi: si tocca la tracolla della borsa come se volesse sorreggersi e scaricare la tensione. Inoltre, quando parla, e rimarca alcuni concetti, tende a strizzare gli occhi. In analisi comportamentale, significa che chi parla sta provando una sensazione di profondo disagio. Infine, rivolge spesso lo sguardo verso il basso confermando la volontà di omettere quanto meno tutto quello di cui è a conoscenza.

Insomma, le parole del Gip trovano pienamente conferma anche nell’analisi comportamentale di Katherine Alvarez. Che, come dice il gip di Firenze, potrebbe sapere molto di più di quanto dichiarato sino ad oggi.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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