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Perché altri quattro ex poliziotti rischiano un processo per depistaggio sulla strage di via D’Amelio

La Procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro ex poliziotti accusati di depistaggio sulla strage di via D’Amelio: a insospettire i giudici sono state alcune loro dichiarazioni in un precedente processo.
A cura di Giorgia Venturini
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Sono passati 32 anni dalla stage di via d'Amelio in cui sono morti il giudice Paolo Borsellino e i suoi cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Da allora le Procure della Sicilia continuano a indagare senza sosta per cercare di arrivare alla verità sull'attentato di Cosa Nostra del 19 luglio del 1992.

Sono stati 32 anni di processi e ricorsi. Di riaperture delle indagini e smentite da parte dei collaboratori di giustizia. Ma sono stati anche gli anni dei depistaggi da parte degli uomini dello Stato: la sentenza definitiva del processo Borsellino Quater del novembre 2021 li ha accertati, così come ha accertato la falsità delle rivelazioni del finto pentito Vincenzo Scarantino.

E ora c'è pure l'ombra di un altro processo per depistaggio: si basa su questa accusa la richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura di Caltanissetta, rappresentata per questo caso dal procuratore capo Salvatore De Luca e dal sostituto Maurizio Bonaccorso, per i quattro poliziotti Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco che un tempo indagarono sulla strage.

Che cosa prevede il nuovo filone di indagini sul depistaggio

Il nuovo filone di indagini si è aperto dopo la sentenza del processo che ha visto imputati altri ex uomini dello Stato, ovvero l’ex dirigente della Polizia di Stato Mario Bò, e gli ex ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Il processo – anche qui il capo d'accusa era depistaggio – è finito con la prescrizione per i primi due imputati e con l'assoluzione per il terzo. Per Mattei e Bò l'accusa si concentrava sull'ipotesi che i due ex poliziotti avessero costretto Vincenzo Scarantino (dalle cui parole partì il più grande depistaggio della storia d'Italia), Salvatore Candura e Francesco Andriotta ad autoaccusarsi e a fare i nomi di altre 7 persone innocenti. Ma per questi ex poliziotti il processo è finito senza alcuna sentenza di condanna.

Durante un'udienza di questo procedimento penale, i giudici non sono però rimasti convinti della deposizione degli altri quattro ex poliziotti: a far sorgere dubbi ai magistrati sono stati i troppi "non ricordo" detti durante le loro dichiarazioni in aula. Nel dettaglio, l’ispettore Maurizio Zerilli – come riportato dal Tribunale di Caltanissetta – interpellato sulla vicenda del falso pentito Vincenzo Scarantino ha detto "121 non ricordo, e non su circostanze di contorno". Oltre cento i vuoti di memoria di Angelo Tedesco e altri 110 quelli di Giuseppe Di Ganci. E ancora: secondo quanto spiegato nella sentenza dei giudici di Caltanissetta Vincenzo Maniscaldi "non si è trincerato dietro ai non ricordo, ma si è spinto a riferire circostanze false". Così i giudici hanno chiesto alla Procura di procedere con le indagini.

A quanto dichiarato dalle fonti investigative a Fanpage.it, gli atti del processo sono stati trasmessi ai procuratori De Luca e Bonaccorso dal Tribunale, che ha ritenuto che ci fossero gli indizi di una falsa testimonianza: i magistrati poi hanno trasformato l'accusa in depistaggio.

La giurisprudenza ritiene che, in questo caso, anche per le dichiarazioni rese durante il dibattimento, si possa procedere con l'accusa di depistaggio per quanto riguarda i pubblici ufficiali che rendono dichiarazioni false. Tutto però dovrà essere ancora accertato. L'udienza preliminare si terrà il 21 marzo: allora si deciderà se far partire un nuovo processo con altri imputati. L'obiettivo è comunque sempre lo stesso: capire una volta per tutte la verità sulla strage di via d'Amelio.

Cosa avrebbero detto di sospetto i quattro ex poliziotti

Secondo l'accusa i quattro ex poliziotti potrebbero essere coinvolti nel depistaggio sulle indagini della strage di via D'Amelio. Ma cosa hanno detto per insospettire i giudici? Cosa ci sarebbe di falso nelle loro dichiarazioni? Sempre secondo fonti di Fanpage.it, le dichiarazioni "dubbie" riguarderebbero soprattutto il sopralluogo fatto con il finto pentito Vincenzo Scarantino nel giugno del 1994 presso la carrozzeria di Giuseppe Orofino, ovvero uno degli imputati del primo processo sulla strage di via D'Amelio, accusato ingiustamente da Scarantino e successivamente condannato.

Nel dettaglio, secondo prime accuse nei confronti di Giuseppe Orofino sarebbe stato lui a fornire una targa "pulita" per la Fiat 126 usata come autobomba nell'attentato del luglio del 1992. Orofino, la mattina successiva alla strage, era andato a denunciare il furto di alcune targhe, tra cui proprio quella di una Fiat 126 che custodiva all’interno della sua officina: da qui i sospetti della polizia. Alla fine emerse che le targhe furono veramente rubate e una di queste applicata all'autobomba. Ma solo nel 2017 Orofino fu assolto nel processo di revisione: fu necessario il pentimento di Gaspere Spatuzza, esecutore delle stragi di Cosa Nostra, per arrivare alla verità su quel giorno e smentire le accuse di Scarantino.

Oltre a questo sopralluogo, a far insospettire i magistrati ci sarebbe anche la gestione illecita delle intercettazioni a San Bartolomeo al Mare, la località dove Scarantino era protetto e sottoposto a intercettazione. Nel processo di primo grado sul depistaggio venne accertato che queste intercettazioni venivano interrotte quando Scarantino parlava con magistrati e poliziotti. Secondo la Procura, ci sarebbero state delle dichiarazioni false da parte degli ex poliziotti su questa gestione illecita. Tutti dettagli che dovranno essere verificati in un eventuale processo. Ma tutto è ancora all'inizio: spetterà al giudice per le indagini preliminari il 21 marzo avviare o meno l'ennesimo processo sul depistaggio sulla strage di via D'Amelio.

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