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Palermo, le mani della mafia su giochi e scommesse: arresti e sequestri per 40 milioni di euro

Una vera “impresa mafiosa”, per gli inquirenti, in quanto le attività sequestrate erano “strategicamente dirette” da soggetti appartenenti a Cosa nostra, e finanziate da risorse economiche illecite. Sequestrate 9 agenzie scommesse, ubicate a Palermo, a Napoli e in provincia di Salerno, attualmente gestite direttamente dalle aziende riconducibili agli indagati, per un valore complessivo stimato in circa 40 milioni di euro.
A cura di Biagio Chiariello
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Associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori aggravato dal favoreggiamento mafioso. Sono le accuse alle quali devono rispondere gli otto arrestati nell’ambito dell’ambito del blitz  dei finanzieri del locale Comando provinciale di Palermo contro la mafia e il business delle scommesse. Un affare ambito dai boss di Cosa Nostra svelato grazie all’operazione “All In” della Guardia di Finanza del capoluogo siciliano.Il gip ha disposto anche il sequestro preventivo dell'intero capitale sociale e del relativo complesso aziendale di 8 imprese, con sede in Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania, cinque delle quali titolari di concessioni governative cui fanno capo i diritti per la gestione delle agenzie scommesse; 9 agenzie scommesse, ubicate a Palermo, a Napoli e in provincia di Salerno, attualmente gestite direttamente dalle aziende riconducibili agli indagati, per un valore complessivo stimato in circa 40 milioni di euro.

Le mani dei boss sulle scommesse

L’indagine, coordinata dalla Dda di Palermo guidata dal procuratore Francesco Lo Voi, ha svelato gli interessi dei clan nel settore dei giochi e delle scommesse sportive ed ha svelato le complicità di alcuni imprenditori che avrebbero riciclato il denaro sporco per conto dei boss. Personaggi chiave dell'inchiesta sono l'imprenditore Francesco Paolo Maniscalco, in passato condannato per mafia ed esponente della "famiglia" di Palermo Centro, e Salvatore Rubino che per conto dei clan avrebbe riciclato il denaro. Gli inquirenti hanno ricostruito il modo in cui le cosche si infiltravano nell'economia "legale" controllando imprese, gestite occultamente da loro uomini di fiducia. Come Vincenzo Fiore e Christian Tortora che, partecipando a bandi pubblici, avevano ottenuto le concessioni statali rilasciate dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive.

I clan di Palermo coinvolti

La rete di agenzie scommesse e di corner gestiti dalle imprese vicine alla mafia si sarebbe espanda grazie ai clan di Porta Nuova e Pagliarelli. Coinvolti nell'affare anche i "mandamenti" della Noce, di Brancaccio, di Santa Maria di Gesù e Belmonte Mezzagno e San Lorenzo, che avrebbero dato l'ok per l'apertura di centri scommesse nei loro territori. Le operazioni economiche sarebbero state pianificate nel corso di summit a cui avrebbero partecipato anche i massimi vertici del mandamento di Pagliarelli: Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, arrestati nei mesi scorsi. Negli anni, "grazie alla loro abilità imprenditoriale e ai vantaggi derivanti dalla "vicinanza" alla mafia, gli indagati avrebbero acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l'esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un impero economico costituito da imprese, formalmente intestate a prestanome compiacenti come Antonino Maniscalco e Girolamo Di Marzo, che nel tempo sono arrivate a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro" dice la Gdf.

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