Operata al cuore ma l’intervento non era necessario, muore dopo tre anni: maxi risarcimento per i familiari

È stata operata al cuore senza che ne avesse bisogno e dopo 3 anni è morta in una struttura di riabilitazione a seguito di alcuni attacchi ischemici. Nei giorni scorsi il Tribunale di Pisa ha stabilito che la famiglia della donna, una 74enne di Lucca, riceva un maxi risarcimento da 700mila euro, più le spese legali, da parte dei sanitari.
Il calvario della signora e dei suoi familiari è iniziata nel 2014, quando la 74enne si è rivolta all'ospedale di Lucca dopo aver avuto un malore. La donna era stata successivamente trasferita a Pisa e poi dimessa, con il consiglio di fare ulteriori accertamenti a Massa.
Nel mese di dicembre veniva sottoposta a un intervento di sostituzione valvolare mitralica con valvola meccanica presso l’ospedale del cuore “Pasquinucci”.
Stando a quanto ricostruito al processo, riporta il Corriere Fiorentino, durante il decorso post operatorio le era stato impiantato un pacemaker, prima temporaneo e poi uno definitivo, e assegnata una terapia farmacologica. Nel 2015 le viene messo un secondo pacemaker.
Ed è da quel momento in poi che inizia ad avere attacchi ischemici. Dopo una serie di visite specialistiche, viene trasferita a Livorno nel centro per la riabilitazione dove è deceduta nel 2018.
I familiari, una figlia e due nipoti, si sono affidati all'avvocato Nicola Todeschini e durante il processo, terminato nei giorni scorsi, hanno scoperto che l'operazione al cuore non era necessaria e che l'intervento potrebbe aver portato ai "molteplici attacchi ischemici, sino allo sviluppo del grave ictus ischemico cerebrale dell'aprile del 2015″.
La struttura sanitaria di Massa dove la donna è stata operata è stata quindi condannata a risarcire la famiglia della paziente, accertando la responsabilità dei sanitari. Il Tribunale di Pisa ha riconosciuto una correlazione tra l’intervento non necessario e i problemi che hanno portato la 74enne alla morte.
"Una più adeguata scelta sarebbe stata, come sostenuto dalle linee guida, sottoporre la paziente a stretto follow-up clinico e strumentale al fine di identificare l’eventuale corretto timing chirurgico, ovvero il momento in cui i vantaggi ottenuti dal trattamento sarebbero stati superiori a quelli della terapia medica", si legge nella sentenza.