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Opinioni

Operai “volontari” e autocertificazioni: il bluff delle fabbriche già riaperte

Fabbriche aperte da settimane non per crisi di liquidità, ma per inseguire il modello produttivo del lombardo-veneto-emiliano e non perdere la fetta di mercato, anzi, anticipare la concorrenza. E così si reclutano operai “volontari” con i protocolli di sicurezza non ancora ultimati. La precarietà economica e occupazionale in cui versano migliaia di lavoratori e famiglie è il lasciapassare per reclutare operai, chiamati “volontari”, perché “ricattabili” suona male: è in nome della loro salute e dignità che le Prefetture devono creare task force, luoghi terzi, in cui siano anche altri, competenti estranei, a valutare l’agibilità e l’apertura in sicurezza delle fabbriche, non solo rappresentanze esattoriali e sindacali.
A cura di Stela Xhunga
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Anni a ripetere che “il futuro è della finanza e dell’automazione” salvo (ri)scoprire che a mandare avanti il Paese sono ancora gli operai, tornati in fabbrica già da settimane, altro che fase uno e fase due. Operai formalmente “volontari”, perché “ricattabili” suona male. In Italia, specie nel Mezzogiorno, se perdi un lavoro, è l’ultimo. La precarietà economica e occupazionale in cui versano migliaia di lavoratori e le loro famiglie è il lasciapassare ideale per reclutare operai su base “volontaria”, anche con i protocolli di sicurezza non ancora ultimati. Senza contare che la maggior parte delle fabbriche fanno parte di gruppi e multinazionali del Nord, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna in testa, dunque se al Nord tengono aperto, al Sud, con pochi contagiati, che fanno, non riaprono? Poco importa se il numero basso di contagiati è una grazia da preservare, specie in Regioni come la Basilicata, che conta meno di 50 posti di terapia intensiva, nemmeno tutti fruibili perché alcuni dislocati male, l’imperativo è inseguire il modello produttivo del Nord, non perdere la fetta di mercato. Anzi, anticipare la concorrenza.

Non è vero che riaprono solo aziende e fabbriche in crisi di liquidità

La modalità di riapertura tramite il tacito assenso della Prefettura, ormai è nota a tutti: tu dirigente o imprenditore invii un’autocertificazione, e se entro tre giorni non ricevi risposta, riapri. E se non fai servizio “essenziale” nel codice ATECO (per altro notevolmente ampliato lo scorso 10 aprile, quando l’ultimo DPCM ha aggiunto nuove deroghe, tra cui il commercio all’ingrosso di fertilizzanti e prodotti chimici per l’agricoltura, la produzione di componenti elettronici e computer, commercio all’ingrosso di carta, e altro ancora), basta produrre, anzi, dichiarare di produrre anche solo un bullone per un’azienda che rientra nel codice ATECO, e voilà.

Reperire dati certi è impresa ardua, gli ultimi sono aggiornati all’8 aprile: su 105.727 autocertificazioni di aziende che hanno riaperto, sono scattati solo 2.296 provvedimenti di sospensione da parte delle Prefetture, mentre per 38.524 di esse è in corso l’istruttoria. Il che significa che l’8 aprile, due giorni prima del DPCM, le aziende aperte erano 64.897, senza alcuna verifica. E no, non erano tutte in affanno da liquidità.

Messaggi via Whatsapp per reclutare lavoratori “volontari”

“Buonasera,

come anticipato alle 15:30 si è tenuta la riunione per la verifica e miglioramento misure Covid-19.

Nel corso del confronto, ci sono state diversi suggerimenti dagli RSU e RLS che si aggiungono alle disposizioni e misure messe in campo nelle riunioni precedenti.

La riunione, proprio per i molteplici temi sensibili da trattare e verificare, si è aggiornata a domani venerdì 10, durante la quale verrà redatto un verbale condiviso.

Come anticipato nel pomeriggio, l'azienda a fronte dei carichi produttivi, comunica, per la settimana dopo pasqua, la necessità della presenza di 70 diretti e 20 indiretti, da reperire con la modalità VOLONTARIA, con le modalità già comunicate, escludendo i lavoratori provenienti dalle zone rosse.

Nel dettaglio:

– 19 Maglie

– 14 Perni e Boccole

– 11 Suole

– 26 Montaggio

Nella giornata di domani, a lavori conclusi, invierò il verbale conclusivo.

Buona serata”.

Questo è il messaggio che il 9 aprile i circa 300 lavoratori della ItalTractor di Potenza, fabbrica che produce accessori (cinghie, catene, ecc.) per mezzi di terra (escavatori, gru, ecc.) L’azienda, che fa parte di una multinazionale, non ha problemi di liquidità, e ha già anticipato la cassa integrazione con l'ok di Gaetano Ricotta, segretario generale Fiom Cgil Basilicata e delegato Fiom all'Italtractor. Nel messaggio si parla di misure anti Covid19 in via di miglioramento e di riaprire dopo Pasqua. Peccato che la fabbrica avesse già riaperto il 6, sia pure in misura ridotta. Abbiamo chiesto a Ricotta quanti lavoratori sono andati a lavorare volontariamente il 6 e svolgendo quali ruoli, se solo logistici, rispetto a vecchi ordini da spedire, o anche produttivi, rispetto a nuovi ordini da fabbricare: “questi dati non li ho precisi” ci è stato risposto. E così, dopo svariati tentativi, siamo riusciti a parlare con un dirigente, il quale, dopo un’iniziale apertura, alla domanda “perché avete riaperto e con quanti lavoratori volontari, e in quali ruoli” ha detto che non può rilasciare interviste e di chiamare presso la multinazionale.

“Passa un metodo che non va bene, finché non c’era un protocollo sanitario definito da tecnici esterni, la commessa doveva aspettare”. I lavoratori che non hanno risposto alla chiamata “volontaria” di cui Fanpage ha raccolto le testimonianze sono arrabbiati:

“Questo maledetto Covid ci accompagnerà più di un anno, i protocolli devono essere ben ponderati, non fatti d’urgenza, deve essere tutelata la salute. Se io mi astengo dal lavorare a condizioni che mancano della sicurezza necessaria, ma al posto mio subentra un volontario che per bisogno economico, familiare, quale che sia, è disposto a sostituirmi, è chiaro che il meccanismo della regola salta. Da qui a un anno, nell’andare a ridisegnare tutte le logistiche aziendali e i meccanismi di lavoro, alla base ci deve essere un concetto: il rispetto della regola. Che non può essere in alcun modo filtrato dalla volontarietà. La regola è regola. Mai come in questo momento ci deve essere il rispetto di un meccanismo che stabilisce come si lavora e come si gestisce tutto. Il volontario, che significa? Con questa azione scellerata della volontarietà su base ricattatoria vai a creare dei meccanismi perversi che ti rompono gli equilibri della regola”.

Per molti sindacati è già una vittoria riuscire a far valere (come stabilisce il DPCM) retroattivamente la cassa integrazione e nelle trattative si battaglia perché i giorni di astensione dal lavoro non siano trattati come scioperi, per i quali salterebbe la cassa integrazione. Sempre usando la Basilicata come specchio di una realtà diffusa, dopo il 21 marzo, quando è stata proclamata l'astensione nell’area industriale del potentino, il 17 è stato costituito il comitato e sono partiti gli incontri per l’ampliamento delle misure previste da accordo 14 marzo, il 22 marzo si è comunicata la riapertura al Prefetto, il 26 si è siglato l’accordo di Cassa Integrazione Guadagni COVID 19 a partire dal 16 marzo con anticipazione e maturazione completa dei ratei, il 3 aprile si è tenuto l'incontro per iniziare una ripresa con meno del 10% dei lavoratori, e il 6 aprile la fabbrica ha riaperto, non si sa di preciso con quanti lavoratori. “Non è stato fatto un cattivo lavoro”, assicura Gaetano Ricotta.

Ciò che manca, però, sono luoghi terzi, in cui siano altri, competenti estranei, a valutare l’agibilità e l’apertura in sicurezza delle fabbriche, e non persone interne, schiacciate da interessi e bisogni personali. Anche per questo per valutare gli accordi e le carte, ogni Prefettura deve avere task force con non solo rappresentanze esattoriali e sindacali, ma figure imparziali dei dipartimenti della prevenzione e dell’arpa regionale. Inutile dire che a oggi così non è stato, ed è miope, anche negli interessi degli stessi industriali, pensare alla salute del Pil, stimato come catastrofico nei prossimi mesi, senza tutelare la salute dei lavoratori.

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