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Omicidio Sciannimanico, il pentito: “Ucciso da chi temeva di perdere clienti”

Colpo di scena al processo per l’omicidio dell’agente immobiliare ucciso a Bari il 26 ottobre 2015: Luigi Caldarulo, collaboratore di giustizia, ha rilasciato importanti dichiarazioni alla Dda nell’ambito del processo nei confronti di Roberto Perilli, ex collega della vittima. “La malavita non c’entra”, dice.
A cura di Biagio Chiariello
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“Non è stata la malavita ad uccidere Giuseppe Sciannimanico”, ma una persona che “si sentiva minacciata” e “pensava di perdere tutto perché questo ragazzo aveva i valori per ingrandirsi”. C’è un colpo di scena nel processo per l’omicidio dell’agente immobiliare ucciso a Bari il 26 ottobre 2015: un pentito, Luigi Caldarulo, ha rilasciato dichiarazioni alla Dda che sono state depositate dal pm Francesco Bretone nel procedimento penale in corso dinanzi alla Corte di Assise di Bari nei confronti di Roberto Perilli, ex collega della vittima, accusato di omicidio volontario premeditato.

Il collaboratore di giustizia ha detto agli investigatori della Squadra Mobile di Bari e al pm Francesco Bretone di aver saputo del delitto da un suo amico d’infanzia, Nicola Di Gioia, pregiudicato barese, fratello di Luigi Di Gioia, già condannato in abbreviato per l’omicidio Sciannimanico a 30 anni di reclusione. Sciannimanico sarebbe stato ucciso materialmente da Luigi Di Gioia ma il mandante del delitto sarebbe stato Perilli. Quest’ultimo, secondo il pentito, sarebbe passato con una Bmw dopo l’esecuzione del delitto per “controllare che Sciannimanico fosse effettivamente morto”.

Per sparare e uccidere l’imprenditore, Di Gioia avrebbe ricevuto 2mila euro come anticipo, più 900 euro per acquistare l’arma del delitto usata, infine altri 18mila euro ad omicidio commesso. In realtà non sarebbe riuscito ad incassarli, perché i due furono arrestati. Caldarulo sostiene aver saputo dal fratello Nicola che Di Gioia (Luigi) “aveva fatto la stronzata del secolo per soldi”, che “aveva ucciso un ragazzo buono senza motivazione per 20mila euro di merda” e non lo approvava perché “per 20mila euro noi non uccidiamo la gente per bene in questa maniera”. “Noi sappiamo bene da scuola di strada – spiega il pentito – che se tocchi una persona di quel calibro, nel senso di una persona brava, tranquilla, che porta frutti alla società, la giustizia ti deve prendere per forza. A Japigia non si possono commettere questo omicidi di persone per bene. Non è nella nostra indole far male ad una persona che alla fine al massimo si poteva andare a chiedere il pizzo, ma arrivare ad ucciderla non è della nostra indole specialmente su Japigia che è una zona di pace, non è una zona di guerra. Alla fine – dice il pentito – questo ragazzo si trova morto per 20mila euro”.

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