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Novara, 25enne picchiata da un uomo perché lesbica. Poi le minacce: “Ti ucciderò”

Jen, una ragazza di 25 anni, è stata aggredita e picchiata perché lesbica. Il fatto è avvenuto alla stazione di Novara, dove la giovane è stata importunata da un uomo e poi aggredita quando ha detto a quest’ultimo di essere lesbica. Dopo le botte anche le minacce: “Non finisce qui, nel nostro paese uccidono le lesbiche e ti ucciderò”.
A cura di Stefano Rizzuti
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È stata picchiata e lasciata a terra perché lesbica. Un’aggressione avvenuta alla stazione di Novara: la giovane, solo 25 anni, è stata lasciata a terra e nessuno è intervenuto, tra i passanti, per fare qualcosa per aiutarla ed evitare l’aggressione. Lei ha subito fatto denuncia: “Perché non voglio aver paura qui in Italia come ne avevo in Nigeria”, spiega. Jen è una 25enne di origine nigeriana e tre giorni fa è stata vittima di un pestaggio “per mano di un connazionale”. La sua vicenda viene raccontata dall’associazione Arcigay Rainbow Vercelli Valsesia, a cui la stessa ragazza è iscritta e che ora la sta aiutando per passare il trauma di questo terribile episodio.

Jen vive a Vercelli, ma lavora a Milano. L’aggressione è avvenuta giovedì, quando è scesa dal treno a Novara per passare la serata con alcuni amici. Ma quando è uscita dalla stazione la 25enne ha riconosciuto l’uomo che l’ha poi aggredita: l’aveva già importunata in passato. “Ha provato a evitarlo, ma poi, vista l’insistenza di lui nel chiederle di uscire insieme, gli ha detto chiaramente che le interessavano le donne e non gli uomini”, raccontano dall’associazione.

L’uomo si sarebbe quindi infastidito, dicendo che in Nigeria “queste cose non sono ammesse”. Al che lei avrebbe risposto: “Ora sono in Italia, sono libera di fare ciò che mi fa stare bene”. Da qui la follia dell’uomo, che si è arrabbiato e le ha urlato contro “sei una vergogna”, iniziando a picchiarla. E poi anche le minacce: “Non finisce qui, nel nostro paese uccidono le lesbiche e ti ucciderò”.

Nessuno dei passanti sarebbe intervenuto, nonostante la gravità di quanto stava avvenendo. C’era “un capannello di italiani: guardavano la scena e non hanno mosso un dito”, raccontano ancora dall’associazione. Jen ha quinti telefonato a un suo amico, iscritto come lei all’associazione. Quest’ultimo ha chiamato un’ambulanza: per Jen pochi giorni di prognosi. E il giorno dopo ha presentato denuncia: “So che queste cose capitano ogni giorno e vorrei che le persone capiscano che bisogna denunciare, io non voglio tornare ad avere paura e a nascondermi come nel mio Paese”.

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