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Motopesca italiano porta in salvo 50 migranti: “Lo facciamo per mio figlio, morto a 15 anni”

Le parole dell’armatore dell’Accursio Giarratano, il motopeschereccio di Sciacca che è rimasto 18 ore in mare aperto dopo aver soccorso 50 migranti in difficoltà a bordo di un gommone. Dopo essere approdati a Lampedusa ha detto: “Rifarei tutto. Noi soccorriamo i profughi in difficoltà, e lo facciamo anche come omaggio alla memoria di mio figlio morto a 15 anni per un cancro: non ci si gira dall’altra parte davanti a chiunque abbia bisogno”.
A cura di Ida Artiaco
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I 50 migranti soccorsi dal motopeschereccio di Sciacca "Accursio Giarratano" sono arrivati in Italia. Dopo l'allarme lanciato dall'imbarcazione, che per ben 18 ore è rimasta in mare aperto, a circa 50 miglia da Malta, che ha negato l'autorizzazione all'approdo, una motovedetta dalla Guardia Costiera ha scortato il motopesca a Lampedusa, dove è arrivato questa mattina con i profughi, che erano stati trovati disidratati e in evidente difficoltà a bordo di un gommone e portati sani e salvi sulle coste siciliane. "Non li avremmo mai lasciati alla deriva, non saremmo tornati a casa dalle nostre famiglie se avessimo prima conosciuto la loro sorte", aveva detto Carlo Giarratano, comandante del natante autorizzato alla pesca mediterranea, che può solcare dunque le acque internazionali.

Non è la prima volta che il motopeschereccio italiano porta in salvo gruppi di migranti. A spiegarne il motivo è Gaspare Giarratano, 63 anni e armatore del peschereccio: "Noi soccorriamo con tutto il cuore i migranti in difficoltà, e lo facciamo anche come omaggio alla memoria di mio figlio morto a 15 anni per un cancro: non ci si gira dall'altra parte davanti a chiunque abbia bisogno", ha detto, ricordando come proprio l'imbarcazione porti il nome del ragazzo prematuramente scomparso. "Come potremmo voltarci dall'altra parte – aggiunge – di fronte alle richieste di aiuto che provengono da esseri umani, che possono essere anche bambini, che magari ci guardano con gli occhi di mio figlio? No, noi li salviamo, e lo facciamo anche pensando al mio ragazzo, perché lui era come noi, e da lassù ci benedice. E tutte le volte noi facciamo il nostro dovere, sbracciandoci e aiutando uomini, donne e bambini, perché è giusto così", afferma orgoglioso l'armatore a TgCom24.

Tuttavia, lamenta il non proprio tempestivo intervento dell'Italia in una situazione così difficile. "Mi vergogno di essere italiano, Roma non può lasciarci senza soccorsi se chiediamo aiuto: dignitosamente facciamo il nostro lavoro, in mare giorni e giorni a pescare, senza contributi pubblici, solo sacrifici, ma non vogliamo essere abbandonati dallo Stato in queste situazioni. Dopo il no di Malta, l'Italia doveva intervenire subito: battiamo bandiera europea e bandiera italiana – aggiunge – e il salvataggio è nel nostro dna".

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