“Mio figlio vittima del ‘gioco del foulard’, è svenuto e aveva segni sul collo. Si faccia prevenzione a scuola”

Stringere un braccio intorno al collo di un amico e fare pressione con l'altro. Quando si prova difficoltà a respirare, si batte due volte con la mano e bisogna fermarsi. È questa l’assurda regola del “gioco del foulard”, o choking game, nato intorno al 2018 (forse anche prima) e, a quanto pare, ancora in voga. La fascia d’età coinvolta va dagli otto o nove anni fino ai quattordici, quindici circa: una di quelle pratiche stupide che non fanno ridere nessuno e che nulla hanno a che vedere con il vero significato di “gioco”.
Qualsiasi ragazzo o bambino potrebbe non rendersi conto del momento esatto in cui bisogna colpire il braccio e allentare la presa. È proprio questo che è successo a Francesco (nome di fantasia), un bambino di nove anni che, per la forte presa, è svenuto. L’episodio avvenuto nel Varesotto, ci è stato raccontato da sua madre per una ragione ben precisa: portare alla luce, e all’attenzione di tutti, un “gioco” mortale che di ludico non ha assolutamente nulla e che rappresenta un pericolo reale per chiunque.
Cosa è successo a suo figlio?
"Mio figlio fa sport. Dopo l’allenamento è andato a prenderlo suo padre. Premetto che, nella struttura in questione, noi genitori non possiamo entrare: aspettiamo i ragazzi fuori. Dato che nostro figlio non usciva, è entrato per vedere cosa stesse succedendo. Lo ha trovato con il labbro intriso di sangue. Inizialmente si pensava fosse caduto".
Invece?
"Quando sono entrati in auto, mio figlio ha chiesto a suo padre di non scrivere nulla dell’accadimento sul gruppo dei genitori, perché lui si sentiva responsabile. Ha detto che avevano fatto un gioco, ma che lui era svenuto e aveva battuto la faccia a terra. Il mio ex marito ha compreso che c’era qualcosa di strano. La cosa principale era comunque accertarsi di come stesse nostro
figlio. Li ho raggiunti: aveva il labbro con fori evidenti, e denti compromessi, ma era coerente nell’esprimersi; insomma, tutto sommato stava bene. Il giorno successivo siamo andati al pronto soccorso e sono stati rilevati dei segni sul collo, la trama della sua felpa impressa sul collo, precisamente".
Quando avete scoperto cosa era successo?
"Dopo poco i fatti sono emersi. È accaduto tutto nello spogliatoio. C’erano i ragazzi da soli, e uno di loro, di 13 anni, ha proposto questo gioco: una prova di resistenza che ha coinvolto prima due
bambini, senza conseguenze, e poi mio figlio. Abbiamo poi scoperto che era stato fatto anche la settimana precedente, ma non era stato rivelato da nessun bambino, probabilmente soddisfatti di aver superato questa prova di coraggio".
Suo figlio non ha battuto due volte sul braccio dell’amico, immagino.
"Lui mi ha detto di non aver sentito dolore e che improvvisamente non ha visto più nulla. Si è svegliato sentendosi come se avesse dormito dieci giorni; ha percepito la sensazione di attraversare
un tunnel con tanti colori. Ha poi sentito il pianto di un bambino: si è svegliato e ha capito che era lui a piangere".
Avete parlato con questo ragazzo e i suoi genitori?
"Sì, c’è stata una riunione successiva con i genitori. Lui è stato espulso, anche se non era quello che volevo. Non credo sia stata comunque compresa la gravità dell’accaduto, né da lui né dai genitori. Non ho percepito nemmeno molta empatia da parte loro nei confronti di mio figlio. Io, da madre, ho cercato di spiegare al ragazzo quello che poteva succedere e gli ho chiesto di usare questo episodio per fare prevenzione a scuola, tra i suoi amici. Solo così si cresce sul serio".
Ora come sta Francesco?
"Ci sono ancora dei problemi di salute da controllare, ma lui è un bambino forte e, soprattutto, generoso. Non prova odio o rabbia nei confronti di questo ragazzo. Pensa che, alla fine della riunione, quando lo ha visto piangere, è corso ad abbracciarlo. E, quando ha saputo che è stato espulso, ha pianto".
A cosa pensa possa essere utile raccontare la vostra storia?
"Per proteggere. Se, grazie a questa storia, un bambino è più consapevole, un genitore è più consapevole e anche solo un caso come quello di mio figlio potrà essere evitato, ne sarà valsa la pena".
Articolo a cura di Rosaria Russo