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Menù della COP26 sono ricchi di carne eppure gli allevamenti intensivi causano il riscaldamento globale

I menù destinati ai delegati della COP26 di Glasgow sul clima contengono principalmente carne e latticini. Molti dei piatti serviti prevedono un’impronta di carbonio decisamente superiore al tetto dei 0,5 kg di CO2 segnato per diminuire l’impatto ambientale dei consumi umani. Eppure gli allevamenti intensivi sono la prima causa di emissione di gas serra a livello globale.
A cura di Gabriella Mazzeo
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(Ph by Christopher Furlong/Getty Images)
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La COP26 si propone di mettere al centro della discussione politica ed economica i cambiamenti climatici. A Glasgow i potenti della Terra discutono i prossimi obiettivi per ridurre le emissioni globali di gas serra entro il 2030, fissando un aumento di +1,5° per le temperature. La Conferenza sul clima aveva già fatto discutere per il via-vai di politici arrivati con decine di jet privati, ma a far emergere nuovamente le criticità del dialogo politico sull'ambiente è il menu presentato ai delegati. La scelta comprende diversi tipi di carne, pesce e latticini. Tutti i prodotti, secondo l'organizzazione, contiene meno di 0,5 kg di C02. La "carbon footprint" di questi alimenti, insomma, sarebbe minima e così anche l'impatto ambientale dei pasti serviti.

Metà delle pietanze servite nella sala principale dello Scottish Exhibition Center era a base di carne e contiene l'impronta di carbonio più alta del menu. Quasi tutti i piatti di quella lista serviti in sala sono provenivano dalla Scozia. Gli indici di quei prodotti superavano di gran lunga i 0,5 kg di Co2 "etici" per il rispetto dell'ambiente toccando anche i tetti massimi di 3,4 kg. Ulteriori dubbi riguardano l'uso smodato di salmone nei menu: molta carne di questo tipo arriva da allevamenti intensivi a rete aperta che hanno causato gravi danni ambientali in tutto il mondo. Queste pratiche sono state tra le prime cause dei cambiamenti climatici e della crisi ambientale che ci sta investendo.

L'impatto a livello globale

Allevare animali a scopo alimentare, infatti, richiede un utilizzo intensivo di terreni, di cibo, di energia e acqua. Tutte le risorse devono essere impiegate senza sosta per garantire una produttività che risponda alla domanda dei consumatori. Più di un terzo delle terre emerse viene utilizzato per piantagioni utili all'allevamento, spesso fuori stagione. L'impiego utile agli animali toglie spesso spazio per le coltivazioni destinate alle persone. Gli animali, infatti, non possono più sopravvivere con il cibo fornito da poche aree della terra non coltivabili dall'uomo. L'effetto a catena innescato è in  grado di causare danni a tutto l'ecosistema, fino a raggiungere la barriera corallina e il circolo polare artico. Gli allevamenti intensivi sono responsabili di circa il 18% delle emissioni di gas serra a livello globale, le stesse che la COP26 si propone di dimezzare entro il 2030.

Dal punto di vista dei rischi collegati alla diffusione di malattie, l'alta concentrazione di animali in spazi ridotti favorisce lo sviluppo di malattie che gli animali potrebbero in qualche modo trasmettere agli esseri umani. Le condizioni di vita negli allevamenti intensivi distruggono infatti le difese immunitarie del bestiame che non solo può diventare veicolo di nuovi virus, ma deve anche essere medicato con particolari antibiotici. L'uso massiccio di farmaci contribuisce all'antibiotico-resistenza, trasmissibile anche essa all'uomo. Non è secondario neppure il consumo massiccio di risorse idriche. L'acqua viene infatti impiegata in grandi quantità nella produzione industriale di carne. Al netto di quella che ritorna all'ambiente, lo spreco non rende sostenibile questo modello.

L'uso intensivo delle terre porta inoltre alla deforestazione per il pascolo e per la produzione già citata di mangimi. Più della metà dei terreni emersi è infatti impiegato nel rendere sostenibile il modello di allevamento intensivo: il pascolo e le coltivazioni portano a una progressiva degradazione del suolo con conseguente perdita della biodiversità. L'ambiente, infatti, cambia in modi irreversibili, generando così l'alterazione dei sistemi secolari. Al centro delle discussioni (che in teoria dovrebbero essere intraprese anche e soprattutto nel corso della COP26) le emissioni di gas serra dovute all'agricoltura e all'allevamento. Si tratta di valori attestati nel solo 2018 intorno al 7% dell'emissione globale. L'allevamento e le coltivazioni causano il 94% dell'emissione di ammoniaca con conseguente formazione di particolato.  All’interno del comparto agricolo, il settore zootecnico è responsabile del 70% di tutte le emissioni dirette nel mondo, senza contare quelle legate alle coltivazioni destinate all'uso mangimistico.

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