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Mario Piccolino ucciso perché lasciato solo

L’avvocato di Formia ucciso nel suo studio non è un eroe, tuttavia si tratta del primo caso di blogger antimafia assassinato per la sua attività di contro informazione. L’antimafia digitale è ancora una chimera per quanto riguarda l’incolumità personale dei citizen journalist.
A cura di Marcello Ravveduto
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Lontano da me il presupposto di voler rendere l’avvocato Mario Piccolino un eroe, né di volerlo santificare per il solo fatto di aver condotto pubblicamente la sue battaglie, ma questo è sicuramente il primo caso di giornalismo digitale indipendente, schierato contro le mafie, che ha una conclusione tragica da non dimenticare. Si è tanto parlato del caso di Maria del Rosario Fuentes Rubio, la blogger messicana rapita, violentata e uccisa dai narcos di Reynosa, città dello stato di Tamaulipas, uno dei più difficili del Messico. Un cartello di cui Maria aveva denunciato efferatezze, collusioni, protezioni e interessi.

Ci fu molto scalpore nell’autunno dello scorso anno e Roberto Saviano le rese onore con una menzione durante il suo intervento a Contromafie (gli stati generali dell’antimafia organizzati dal network Libera nell’ottobre 2014).

L’avvocato di Formia, nonostante non fosse proprio un giovanotto, aveva imparato ad usare il web partecipativo per creare, attraverso la forma dialogica del newsblog, un sistema di relazioni sociali, con linking, commenti e opinioni, in grado di richiamare l’attenzione sulla penetrazione di ‘ndrangheta e camorra nella sua città.

Come ha scritto Vittorio Martone, nelle provincie del basso Lazio (Frosinone e Latina) la Procura distrettuale antimafia ha arginato l'”ala militare” dei gruppi di camorra e di ‘ndrangheta trasferitisi nel Pontino, ma la repressione non è mai seriamente intervenuta sul tessuto di politici, professionisti e burocrati collusi che continua a operare indisturbato. Due esempi eclatanti, in cui vengono clamorosamente tralasciati molti legami esterni, sono: l’operazione “Formia connection” contro i Bardellino, incriminati per estorsione ai danni di una Cooperativa di servizi comunali; le operazioni “Damasco” e “Sud Pontino” contro i Tripodo, nota famiglia ‘ndranghetista radicatasi a Fondi, accusati di infiltrazioni nell’amministrazione locale e nella logistica del Mercato Ortofrutticolo.

Ora se consideriamo che nel 2009 Piccolino era già stato colpito con un cric sul volto da un uomo introdottosi nel suo studio, identificato poi come Angelo Bardellino (successivamente rinviato a giudizio), troviamo almeno un paio di coincidenze: la modalità di esecuzione e il riferimento ad una delle famiglie più importanti del clan dei casalesi presente a Formia

Il Pontino e la Ciociaria, sin dagli anni Sessanta, sono considerati “Lo spazio vitale di Spartacus”, soggetti alle mire espansive del clan Bardellino e, dagli anni ottanta, dei vari clan della federazione casalese, passando per la “diarchia” Schiavone-Bidognetti, fino alle recenti operazioni antimafia. Il litorale, e specificatamente Formia, sembra essere divenuta terra di conquista di un «nuovo clan dei casalesi» (così definito dal Tribunale di Napoli nell’«Operazione Golfo» del 2011). Tra i clan mafiosi del basso Lazio, soprattutto tra camorristi e ’ndraghetisti, esistono forme di collaborazione cooperative, basate su patti più o meno negoziabili: al crescere del giro di affari diminuisce la conflittualità armata perché da un lato aumenta la quota di spartizione pro capite, dall’altro bisogna evitare di attirare l’attenzione della forze di polizia e sedare una possibile insorgenza d’indignazione popolare.

Si è parlato addirittura di «quinta mafia» per indicare un’aggregazione criminale originale che unisce trasversalmente, sulla base degli interessi e dei traffici, gruppi di diversa estrazione mafiosa. Due sono i pilastri su cui si è fondato il radicamento territoriale della neoplasia laziale: i reticoli di concorso esterno che hanno dato vita ad un’«area grigia», composta da esponenti delle istituzioni, della politica, della burocrazia e dell’imprenditoria, disponibile ad accettare pratiche collusive sotto forma di corruzione sistemica; l’impunità scaturente dalla scarsa tensione posta sulla penetrazione criminale, con una colpevole riluttanza delle istituzioni e della popolazione a riconoscersi come area di insediamento mafioso, sottovalutando la capillarità del fenomeno e i suoi intrecci con la società locale.

Bruno Fiore, consigliere comunale di Fondi, ha scritto su Facebook: «Sono rimasto sconvolto dalla terribile notizia del barbaro assassinio dell'avvocato Mario Piccolino… era una persona determinata ma mite, forse troppo isolata nelle sue denunce… La situazione a Formia e nel sud pontino è senza ritorno e questo fatto gravissimo lo dimostra. Non ci sbagliamo quando diciamo che in Provincia di Latina, e soprattutto nel sud pontino, lo Stato non esiste, si è arreso alla camorra, alla ‘ndrangheta, alle mafie, mafie di ogni natura. Piccolino, dopo il grave episodio del 2009 è stato lasciato solo, senza alcuna protezione. Come sono lasciati soli tutti coloro che combattono le mafie in questa provincia, non solo a parole ma con denunce precise e circostanziate… Ci inquieta anche la possibilità di una recrudescenza dello scontro tra bande presenti sul territorio. I clan nel sud pontino ci sono tutti e finora è prevalsa la pax. Se uno ha rotto la tregua vuol dire che sono saltati gli equilibri e qualcuno vuole la guerra. Speriamo di sbagliarci».

Tuttavia, non si può tacere che, in questo caso, la blogosfera non è stata capace di generare una rete di protezione nei confronti di Piccolino che era uno dei tanti esponenti del giornalismo diffuso. Un citizen journalist che aveva definito la sua identità virtuale in senso comunitario mantenendo alta la guardia contro le infiltrazioni criminali in un territorio privo di tradizionali insediamenti mafiosi e con un’opinione pubblica negazionista.

Mario Piccolino suonava come una campana stonata. Certo non è stato e non sarà l’unico ad essersi pubblicamente opposto all’andazzo in corso ma era rimasto isolato. Il virtual togetherness, smaterializzato dalla disintermediazione del blog, non si è tramutato in capitale sociale protettivo, né le reti di cittadinanza di impegno civile, minoritarie e prive di seguito nel contesto locale (preoccupato a salvaguardare il suo apparente perbenismo), hanno la capacità di costruire intorno ai soggetti più esposti un cordone sanitario.

L’incolumità personale per l’antimafia digitale rimane una chimera; la partita si gioca nella quotidianità in cui la solitudine reale ti rende sempre vulnerabile, anche se sei un magistrato o un prefetto della Repubblica.

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