Le prime parole di Saverio Tommasi tornato in Italia dopo la detenzione in Israele: “Trattati come scimmie”

"Sto bene perché sono tornato a casa. La paura era data dall'inaspettato, cioè non c'era nessun evento che noi riuscivamo a controllare". Sono queste le prime parole di Saverio Tommasi, il giornalista di Fanpage.it partito a bordo di una delle navi della Global Sumud Flotilla e detenuto in una prigione a Sud di Israele, tornato nella notte in Italia insieme ad altri 18 connazionali. L'aereo con a bordo attivisti e giornalisti è atterrato intorno alle 23.30 all'aeroporto di Roma Fiumicino, accolti da decine di persone che urlavano "Free, free Palestine".
"Abbiamo avuto botte nella schiena, nella testa, non potevamo alzare la testa. Ci trattavano, in particolare a me e a Paolo Romano (consigliere della Regione Lombardia, ndr), e ad altri del gruppo come delle scimmie. Ad esempio, a me avevano cambiato il nome, dovevo dire Biniti o Bettini, il soldato chiamava altri colleghi e diceva loro di chiedere come mi chiamassi. Quando io rispondevo tutti loro ridevano. Non so la traduzione ma credo qualcosa come "imbecille, sciocco", una cosa del genere. E questo li faceva ridere moltissimo", ha raccontato Tommasi.
E poi ancora: "Hanno tolto le medicine a tutti. Un signore di 86 anni a cui è stata tolta la bomboletta per l'asma l'ha richiesta al console e comunque non è arrivata, si è sentito male insieme ad altre persone per problemi fisici, hanno chiesto ripetutamente il dottore. Io ero tra quelli che sbatteva forte sulla cella chiedendo l'assistenza di un medico che però non è mai arrivato. L'acqua era quella del rubinetto del bagno, era calda e con un sapore rancido. Il cibo era scarso ma non è che siano momenti in cui si sente particolarmente la fame. Hanno sequestrato i telefoni, hanno sequestrato tutto il mio materiale di lavoro, quindi pc, telecamere, microfoni", ha continuato.
Il reporter ha ricordato anche il momento dell'abbordaggio: "È avvenuto con dei gommoni con quindici, venti soldati a volto coperto, con i mitra spianati. Si sono avvicinati mentre noi stavamo già con le braccia alzate, il passaporto in mano e una delle persone in barca, e cioè Yassine Lafram, il presidente delle comunità islamiche italiane, ha preso il calcio del fucile nelle costole, non ha detto "ahi" perché era pericoloso anche dire questa espressione e si è tenuto il dolore. Poi da lì è stato un po' peggio. A me hanno strappato le fedi, le ho riavute solo a Istanbul".
E gli aiuti a bordo delle navi diretti a Gaza? "Immagino tutti quanti affondati insieme alle barche. Nessuna delle imbarcazioni ha nessuna possibilità di tornare indietro. Non è finita, ci sono 15 persone ancora nel carcere israeliano e i bombardamenti in Palestina continuano perché poi il focus è lì e non è tanto noi o la flotilla".