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Covid 19

“Lavoravo su una nave da crociera, sono stato licenziato e aspetto un tampone da giorni”

Alfio Cutuli ha 30 anni e lavorava in una nave da crociera in Brasile. Quando anche lì esplode l’emergenza Covid-19 e i porti vengono chiusi, lui viene licenziato e rimpatriato. È il 24 marzo, torna in Italia su un volo pieno e con lui viaggiano due persone, poi rivelatesi positive al coronavirus. Il test del tampone, necessario per un’ordinanza della Regione Siciliana, gli viene eseguito il 14 aprile. Dopo quasi un mese di isolamento assoluto, ancora non sa se ha contratto il virus oppure no.
A cura di Luisa Santangelo
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Alfio Cutuli
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Licenziato a causa del Covid-19, tornato in Sicilia su un volo a pieno carico, a contatto con due persone poi rivelatesi positive al coronavirus, e adesso bloccato in una casa in affitto da quasi un mese, nell'attesa del risultato del test del tampone eseguito il 14 aprile. Alfio Cutuli ha 30 anni e racconta su Facebook la sua quotidianità: una ricetta eseguita mentre canta una canzone popolare locale, due chilometri di corsa sul terrazzino, perfino il momento in cui si rasa i capelli sfidando i suoi amici a fare lo stesso. "Ero in Brasile, a bordo di una nave da crociera su cui lavoravo – spiega a Fanpage.it –  . Quando anche lì la situazione è precipitata, sono stati chiusi tutti i porti e noi lavoratori siamo stati rimpatriati".

Il 24 marzo comincia il suo viaggio di ritorno: San Paolo-Roma, e poi Roma-Catania. "Mi sono fatto lasciare una macchina in aeroporto dai miei genitori e ho preso una casa in affitto – racconta – Vivere in tre, in una piccola abitazione con un solo bagno mi avrebbe reso impossibile seguire la quarantena in sicurezza. Mio padre è cardiopatico, mia madre soffre di bronchite, non volevo metterli a rischio". Arrivato in Sicilia fa tutto quello che avrebbe dovuto fare: si denuncia al Comune di residenza (Giarre) e a quello in cui sarebbe andato a vivere in affitto (Zafferana Etnea, ai piedi dell'Etna), si iscrive al sito della Regione Siciliana Sicilia si cura e comincia i suoi 14 giorni di isolamento volontario.

Una settimana dopo, riceve una telefonata da una delle persone con le quali aveva viaggiato: il suo amico era risultato positivo al Covid-19. Non senza difficoltà, avvisa le autorità e viene inserito nell'elenco di persone che avrebbero dovuto sottoporsi al test del tampone. Il 20 marzo, del resto, un'ordinanza del presidente della Regione Nello Musumeci estendeva la possibilità di eseguire l'esame diagnostico non solo sui sintomatici, ma anche su tutti coloro che fossero rientrati dal nord Italia o dall'estero a partire dal 14 marzo.

"Rimango in attesa e il test mi viene eseguito solo il 14 aprile, cioè il giorno dopo Pasquetta. Nel frattempo vengo a conoscenza di un secondo positivo che aveva viaggiato con me sullo stesso aereo". Da quel momento in poi, l'attesa cambia genere: "Non più l'attesa del tampone, ma quella del risultato del test". Passano quattro giorni e ancora niente. I giorni diventano sei, e sempre nulla. "Chiamo i carabinieri. Il mio periodo di quarantena obbligatorio era scaduto, non sapevo cosa fare e i numeri dell'Asp di Acireale e della protezione civile regionale squillano a vuoto per ore".

I militari non possono però fare niente. E neanche la polizia municipale del Comune di Zafferana. "Ottengo da uno dei positivi il numero di telefono dal quale erano stati contattati per il risultato del test, così lo chiamo. La risposta che mi arriva è semplice: ‘Ci faremo risentire noi, lei intanto non esca‘". Così i giorni si sommano. Ma ancora di esito del test del tampone non si vede neanche l'ombra. "Sono in un gruppo WhatsApp con altre 15 persone nelle mie condizioni, ad alcuni di loro i risultati sono arrivati. A me ancora no: la mia preoccupazione è che, come successo ad altri, il mio tampone sia stato perso".

"Nei primi giorni – continua il 30enne a Fanpage.it – l'isolamento pesava meno. Adesso voglio tornare a casa. Non voglio spendere altri soldi di affitto, visto che nel frattempo sono stato licenziato per lo stop alle crociere. Vorrei potere raggiungere la mia famiglia, che non vedo da gennaio, poter dare loro una mano: uscire io a fare la spesa o in farmacia, dare ai miei genitori la possibilità di stare a casa visto che loro sono a rischio".

E garantisce: "Nessuno ti dice che non puoi uscire di casa finito l'isolamento: un mio conoscente è stato chiamato per fare il tampone dopo 30 giorni dal suo rientro, mentre si trovava al supermercato a fare la spesa. Nessuno gli aveva spiegato che, finiti i 14 giorni, non si poteva muovere senza il tampone. Io resisto perché sono abituato a stare chiuso in piccoli spazi, perché ho rispetto dei miei genitori e per senso civico. Ma il sistema non funziona, questo deve essere chiaro".

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