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La cognata ha una relazione con suo marito: 37enne la massacra di botte e la rade a zero a Perugia

Una 37enne peruviana è stata condannata a 5 mesi (con pena sospesa) per violenza privata e lesioni. Aveva scoperto che il marito la tradiva con la vittima e ha deciso di vendicarsi così nei confronti della donna.
A cura di Biagio Chiariello
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immagine di repertorio
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Una donna peruviana di 37 anni è stata condannata a cinque mesi di reclusione, con pena sospesa, per aver aggredito la cognata e rasato a zero i suoi capelli. L’episodio, secondo l’accusa, sarebbe stato motivato dalla gelosia dopo che la vittima aveva intrapreso una relazione con il marito dell’imputata. La condanna è subordinata al risarcimento del danno alla parte offesa, rappresentata dall’avvocato Emiliano Botta.

Una seconda donna, coetanea e connazionale della condannata, era stata inizialmente coinvolta nel procedimento con l’accusa di concorso nell’aggressione. Secondo la ricostruzione della Procura di Perugia, avrebbe aiutato la cognata a immobilizzare la vittima e a procurarsi un secondo paio di forbici più affilate, dopo che il primo paio non era risultato efficace. Il giudice, tuttavia, ha escluso ogni sua responsabilità, assolvendo l’amica dall’accusa di violenza privata. L’avvocato Carla Ragna, che la difendeva, ha accolto con sollievo la decisione.

Stando alle ricostruzioni, si tratterebbe di un’aggressione pianificata: la condannata avrebbe teso un vero e proprio agguato alla cognata dopo aver scoperto la relazione con il marito. La vittima sarebbe stata attirata in casa, spinta a terra e colpita con schiaffi e pugni, prima di essere costretta a subire il taglio dei capelli. Durante l’aggressione, ha riportato abrasioni alla regione preauricolare destra ed ecchimosi agli arti superiori e inferiori, lesioni giudicate guaribili in sette giorni.

La vicenda ha suscitato scalpore per la violenza del gesto e per il chiaro intento punitivo della condannata. L’avvocato Giorgia Ricci, che difende la donna, ha già preannunciato ricorso in appello, sostenendo che il gesto sia stato dettato da un raptus emotivo. Il tribunale, però, ha ritenuto sussistente la responsabilità penale, sospendendo la pena solo a condizione del risarcimento del danno.

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