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Presidente Grafica Veneta, razzismo contro pakistani: “Pulizia e bellezza non sono in loro cultura”

Fabio Franceschi, presidente del colosso italiano della stampa e della rilegatura Grafica Veneta, parlando degli operai pakistani vittime di sfruttamento: “Loro sono un po’ così, pulizia e bellezza non è che facciano parte della loro cultura. Comunque vivevano in 8 in una casa grande, 2 in una stanza. Neanche male”.
A cura di Davide Falcioni
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"Loro sono un po' così. Pulizia e bellezza non fanno parte della loro cultura". A dirlo – riferendosi agli operai pakistani dipendenti di Bm Services, ditta con sede in Trentino in subappalto a Grafica Veneta –  è Fabio Franceschi, presidente del colosso italiano della stampa e della rilegatura finito nei mesi scorsi al centro di un'inchiesta giudiziaria per le condizioni imposte ai lavoratori. Quattro giorni fa – davanti ai giudici del Tribunale di Padova – Giorgio Bertan e Giampaolo Pinton, rispettivamente amministratore delegato e direttore dell'area tecnica di Grafica Veneta, hanno patteggiato sei mesi di reclusione – commutati in una sanzione di 45mila euro ciascuno – per il reato di sfruttamento del lavoro. Le indagini erano scattate nel 2020, quando i carabinieri trovarono alcuni pakistani abbandonati in strada, imbavagliati e con le mani legate. L'inchiesta portò alla luce un sistema di umiliazioni e ricatti nei confronti di 11 pakistani, dipendenti per l'appunto di Bm Services, costretti a sobbarcarsi turni massacranti e ad accettare stipendi decurtati con sistematici prelievi dal bancomat. Cime se non bastasse ai tentativi di ribellione seguivano anche violenze fisiche. Secondo gli inquirenti i vertici di Grafica Veneta erano a conoscenza dei maltrattamenti ai danni dei lavoratori e per questo il 26 luglio sono scattati gli arresti domiciliari. Giorgio Bertan e Giampaolo Pinton hanno sempre negato ogni addebito ma alla fine hanno patteggiato, cavandosela con una sanzione pecuniaria.

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Il presidente di Grafica Veneta: "Pachistani? Non ne vogliamo più"

Ebbene, neppure di fronte a quanto emerso nel corso delle indagini Fabio Franceschi ha ritenuto di doversi scusare. Al contrario, in un'intervista rilasciata a La Stampa ha rincarato la dose contro le vittime con una serie di considerazioni decisamente razziste. "Pachistani, nella mia azienda, non li voglio più", dice, sostenendo poi che le accuse di sfruttamento erano false, sebbene i suoi collaboratori abbiano patteggiato una pena di 6 mesi. "La nostra è un'azienda in grande crescita, che non può permettersi di perdere due risorse così importanti per anni, o di restare concentrata su un problema risolvibile con una sanzione amministrativa. Pinton e Bertan hanno patteggiato, anche su consiglio degli avvocati, e ora sono di nuovo operativi".

Franceschi poi aggiunge, in merito alle violenze subite dagli operai: "Sicuramente qualcosa ci sarà, perché quella è gente molto violenta. Però la mano sul fuoco non la metterei. Parliamo di prognosi di tre giorni al pronto soccorso". E sul fatto che i lavoratori vivessero ammassati: "Loro sono un po' così, pulizia e bellezza non è che facciano parte della loro cultura. Comunque vivevano in 8 in una casa grande, 2 in una stanza. Neanche male". Il presidente di Grafica Veneta ha annunciato che assumerà in futuro solo italiani: "Ci sono stranieri che, negli anni scorsi, hanno affittato case, ma ora non pagano le spese condominiali ed è impossibile mandarli via. Il nostro territorio è un po' traumatizzato da questa presenza particolare. Non ce la sentiamo di assumere gente che non vive qui, perché la nostra è come fosse una famiglia, ci daremmo subito da fare per trovare una sistemazione e garantire per la casa. Allora puntiamo sul territorio. Ma la nostra azienda lavora in tutto il mondo, non possiamo avere solo veneti".

CGIL: "Franceschi dovrebbe solo scusarsi"

Secondo Aldo Marturano, segretario generale Cgil Padova, Fabio Franceschi "dovrebbe innanzitutto scusarsi: nella migliore delle ipotesi, per omessa vigilanza sulla qualità e serietà delle ditte in appalto e a proposito di quanto accadeva nella sua stessa impresa; nella peggiore, per aver fatto prevalere il profitto sulla legalità e sulla dignità delle persone. E dopo essersi scusato, tentare di rimediare all'enormità di quanto accaduto dando un'opportunità di riscatto alle vittime di reati odiosi. Fabio Franceschi non sta facendo nulla di tutto questo. Peggio, ha assunto posizioni auto assolutorie in palese contraddizione con l'atteggiamento processuale e ha pronunciato parole indegne per un importante protagonista del sistema economico di un paese civile, ma anche per un semplice cittadino di una Repubblica democratica. Per lui, vittime e carnefici sono sullo stesso piano. Non ci sono schiavisti e schiavi, né caporali e lavoratori sfruttati, ma pachistani che ‘si sono bastonati tra di loro'. E per evitare che riaccada, la sua ricetta è la discriminazione nelle assunzioni di chi non è ‘autoctono', di chi è ‘straniero'. Ma queste sono solo due perle, tra le tante oscenità che ha pronunciato: tra una minimizzazione delle lesioni che sono state commesse ai danni delle persone, la colpa di chi era vestito ‘come uno zingaro', e giudizi igienici ed estetici verso chi, secondo lui, non contempla nella sua cultura ‘bellezza e pulizia'. La prima domanda che sorge spontanea è se abbia mai sfogliato qualcuna delle opere che pubblica o se per lui stampare libri o produrre qualunque altro bene, sia la stessa cosa. C'è poi da chiedersi se il mondo della cultura, non solo italiana, abbia qualcosa da eccepire su questo atteggiamento. Perché un simile comportamento non può essere un problema solo per il sindacato, ma dovrebbe interrogare e inquietare l'intera società."

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