Il giallo del Mostro di Firenze, cosa c’entra la “pista sarda” con la rivelazione sul padre di Natalino Mele

"Spero che tra non molto arrivino anche altre novità, intanto questo è sicuramente un nuovo elemento che rafforza la ‘pista sarda', abbandonata forse troppo frettolosamente in anni passati".
A parlare a Fanpage.it è Davide Cannella, il criminologo che mesi fa ha seguito per i familiari di Francesco Vinci la riesumazione dell'uomo accusato nel 1982 (e successivamente scagionato) di essere il Mostro di Firenze, il killer che tra il '68 e l'85 fu autore di otto duplici omicidi.
Cannella ha commentato così il recente accertamento genetico che ha svelato l'identità del padre biologico di Natalino Mele, il bimbo di 6 anni e mezzo che nell’estate del ’68 scampò al primo delitto, in cui morirono la madre, Barbara Locci, e l'amante, Antonio Lo Bianco.

Il bambino sopravvissuto non sarebbe infatti figlio di Stefano Mele, marito della vittima, condannato per quel delitto, ma di Giovanni Vinci, l’uomo membro del “clan” di sardi che dal 1982 entrò nelle indagini, con l’arresto del fratello, Francesco Vinci e con i sospetti sull’altro fratello, Salvatore. I tre fratelli Vinci furono tutti amanti di Locci.
"Giovanni venne parzialmente sfiorato nelle indagini, marginalmente interessato, diciamo, anche se non capisco il perché, visto che il fratello Francesco finì in galera con l'accusa di essere il Mostro. E non dimentichiamo che venne scagionato a seguito degli ultimi due delitti del Mostro", ricorda Cannella.

La riesumazione di Francesco Vinci e le analisi del genetista Ricci
A svolgere l'esame del Dna è stato il genetista Ugo Ricci, l'esperto che nel caso Garlasco ha trovato il Dna di Andrea Sempio sulle unghie di Chiara Poggi.
"Ho svolto l'accertamento riguardo la paternità di Natalino e l'analisi è stata complessa a causa del fattore tempo, che influisce nei casi in cui ci sono cadaveri come questo. – ha spiegato – Quando si fa questo tipo di analisi qualunque tipo di incertezza è sempre presente e si cerca di affrontarla con la massima professionalità".
Per la comparazione il genetista ha utilizzato anche il profilo da lui estratto dalla recente riesumazione del cadavere di Francesco Vinci, richiesta tramite Cannella dai familiari dell'uomo.
"Mi aspettavo qualcosa di positivo, a me interessava ottenere il Dna di Francesco Vinci. I magistrati hanno capito subito l'importanza di questo e di altri profili genetici. – ha detto il criminologo – A seguito di questa riesumazione, infatti, sono partiti anche altri accertamenti".
L'arma del killer mai trovata: "La stessa per tutti i delitti"
Uno dei nodi centrali del caso del Mostro di Firenze è quello della pistola utilizzata dal killer (o dai killer), una Beretta calibro 22, la stessa per tutti i delitti. E i proiettili, trovati sulle scene degli otto duplici omicidi, provenivano dalla stessa arma.
"Il primo delitto fu attribuito a Mele. Qualcuno ha ipotizzato che abbia abbandonato la pistola e qualcun altro abbia proseguito i delitti ma la domanda, che sorge spontanea, è: ha buttato anche le cartucce? Non credo che l'arma sia passata di mano", osserva Cannella.
"A me la logica fa pensare che pistola e cartucce siano rimaste nelle mani delle stesse persone. E il fatto che ci siano più persone dietro a questo caso non è così improbabile", aggiunge.
"Perché l'assassino ha risparmiato Natalino Mele?"
A fronte dei nuovi accertamenti, un'altra domanda sorge spontanea, come osserva Cannella: "Perché un assassino di quel calibro ha lasciato in vita il bambino? Aveva 6 anni e mezzo, una faccia se la poteva ricordare". E ancora: sapeva chi fosse il padre?

Dopo l’omicidio, il piccolo raccontò di essere stato preso in braccio da qualcuno che lo lasciò davanti alla porta di una casa, a due chilometri di distanza. "Ho sonno, ho il babbo ammalato a letto, dopo mi accompagni a casa? C'è la mia mamma e lo zio che sono morti in macchina", disse all'epoca.
Nei giorni scorsi, intervistato dopo la rivelazione sull'identità del padre biologico, Mele ha detto di non aver mai avuto rapporti con i Vinci. Di quella notte, dopo così tanti anni, dice di ricordare davvero molto poco.
Pietro Pacciani e la condanna dei "compagni di merende"
Il 17 gennaio 1993 venne arrestato Pietro Pacciani con l'accusa di essere il Mostro di Firenze. Successivamente, dopo essere stato condannato in primo grado, fu assolto in appello ma morì alla vigilia dell'appello bis richiesto dalla Cassazione.

Due dei suoi amici, passati alle cronache come “compagni di merende”, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, furono condannati per quattro degli otto duplici omicidi commessi (il nipote di Vanni, Paolo, da anni chiede la revisione della condanna dello zio).

Il Dna ignoto sui proiettili usati per uccidere le ultime due vittime
L'anno scorso un Dna sconosciuto è stato isolato su uno dei proiettili usati nell’omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, le ultime vittime del Mostro, uccise dentro la loro tenda agli Scopeti, in Val di Pesa.
Quel Dna non sarebbe compatibile con quello delle vittime, del perito balistico che aveva maneggiato il reperto e neanche con quello di alcuni indagati.

La sequenza inoltre ricorrerebbe in modo parziale anche sui proiettili repertati di altri due duplici omicidi, quelli dei tedeschi Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch (uccisi il 9 settembre 1983 a Giogoli) e di Pia Rontini e Claudio Stefanacci, assassinati a Vicchio il 29 luglio 1984. Si chiede Cannella: "E se fosse quello di uno dei Vinci?".