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Il business sui morti e l’infermiere che si è opposto. La storia raccontata da Fanpage.it un anno fa

L’operazione Requiem dei carabinieri del comando provinciale di Catania ha fotografato un sistema di “occupazione” militare dell’ospedale Gravina e Santo Pietro di Caltagirone. A opporsi ai lavoratori di una ditta di onoranze funebri che imponeva la propria presenza nel nosocomio anche un infermiere, che per la richiesta di allontanarsi formulata agli arrestati è stato aggredito verbalmente e fisicamente. Un anno fa, poco dopo l’aggressione, Fanpage.it lo aveva intervistato per raccontare la sua storia. La sua denuncia ha aiutato a chiudere il cerchio su nove persone.
A cura di Luisa Santangelo
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Sono le 8.15 del mattino del 13 giugno 2019. Quella notte, una mamma ha dato alla luce un figlio morto, all'ospedale Gravina e Santo Pietro di Caltagirone, in provincia di Catania. Davide Annaloro, dipendente di un'agenzia di onoranze funebri, fa il consueto giro ispettivo della camera mortuaria del presidio sanitario calatino. Vede il corpicino del bimbo, ne strappa il talloncino identificativo e chiama un collega: deve andare a cercare la madre, i parenti del piccolo. Quel funerale bisogna che se lo aggiudichino loro. I carabinieri del comando provinciale di Catania hanno chiamato "Requiem" l'operazione sul controllo imposto dall'impresa di cui è dipendente Annaloro su quello che, ormai da tempo, viene chiamato il business del caro estinto. Nove indagati, quattro arrestati e portati in carcere, un quinto agli arresti domiciliari. Si tratta di Paolo Agnello, Massimiliano Indigeno, Alfredo Renda, il succitato Davide Annaloro, Alberto Agnello, Giuseppe Milazzo, Massimo Gulizia, Raffaele Sciacca e Vito Pappalardo.

In poco più di un anno di indagini, l'Arma di Caltagirone ha fotografato l'operato di una presunta associazione a delinquere finalizzata all'illecita concorrenza con minaccia o violenza, violazioni di sepolcro, furti aggravati, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio, minaccia, interruzione di servizio pubblico, nonché di  istigazione alla corruzione e minaccia a pubblico ufficiale. Nelle carte dell'ordinanza di custodia cautelare c'è anche un fatto raccontato in anteprima per Fanpage.it da Francesco Bunetto: Massimo Calì, infermiere professionale e referente del pronto soccorso dell'ospedale, tramite la nostra testata aveva raccontato l'aggressione verbale prima e fisica poi subita nel presidio di emergenza proprio all'inizio della pandemia da Covid-19.

Calì aveva tentato di fare rispettare le norme di prevenzione della diffusione del coronavirus, invitando Indigeno e i due Agnello a uscire da un'area nella quale non era permesso che restassero. Era il 6 marzo 2020 e l'ospedale Gravina sarebbe diventato a breve un Covid hospital della provincia di Catania. Per avere fatto rispettare le regole, Massimiliano Indigeno avrebbe urlato contro Calì: "Ti ammazzo, sei un pezzo di merda, un fango. A te ti devo dare legnate, ti aspetto fuori". Frasi cristallizzate nella denuncia formalizzata ai carabinieri di Caltagirone dallo stesso infermiere e ribadite, poco dopo la denuncia, ai microfoni di Fanpage.

A fare scattare l'inchiesta sono state le "plurime denunce" di un imprenditore di una ditta di pompe funebri concorrente rispetto a quella di Alfredo Renda, alla quale invece sono legati gli altri indagati. L'imprenditore calatino ha raccontato danneggiamenti subiti per anni: il carro funebre rigato, le coroncine di rosario rubate dai corpi dei defunti, crocifissi spaccati e perfino insulti scritti sulle pareti della camera mortuaria dell'ospedale. Nel luogo in cui i parenti dei morti, fino a prima della pandemia, andavano a piangere le salme, si consumava una concorrenza sleale che sfociava nell'intimidazione. I talloncini con i dati dei deceduti, necessari per la loro identificazione da parte delle onoranze funebri, strappati per rallentare le operazioni dei rivali. O, come nel caso del feto, per trarne le informazioni necessarie a raggiungere i parenti e a proporre loro i servigi funerari. E poi i furti: non solo delle collane religiose strette tra le mani dei cadaveri prima del funerale, ma anche delle lampadine.

"Attraverso la loro costante presenza all'interno dell'ospedale e nelle sue adiacenze – si legge nei documenti dell'inchiesta – (gli indagati, ndr) controllano incessantemente il flusso dei decessi". E garantendosi informazioni tempestive anche grazie alla collaborazione di personale in servizio nell'ospedale (Giuseppe Milazzo ne è addetto alla portineria) o nel soccorso del 118 (Massimo Gulizia e Raffaele Sciacca ne sono autisti soccorritori). "Vieni qui che ci prendiamo un caffè", dice un infermiere dell'ospedale a Paolo Agnello, chiamandolo al telefono. In quel caso, il "caffè" era, per gli investigatori, il trasporto di una persona non deambulante. Affari d'oro, giorno dopo giorno, e interrotti per via del Covid-19. E, anche, dell'intervento di un lavoratore onesto che per fare rispettare le regole ha subito un'aggressione da chi, adesso, è agli arresti.

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