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Giorgia Meloni ha reso “strategico” per decreto il depuratore dei veleni di Priolo Gargallo

La premier ha firmato un decreto che rende Isab, quasi ex Lukoil, “stabilimento di interesse strategico nazionale”. Ma nel provvedimento c’è di molto di più.
A cura di Luisa Santangelo
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Che la questione del depuratore IAS fosse di rilevanza nazionale era chiaro a molti, in Sicilia, già da mesi. Adesso, però, a certificarlo è un decreto della presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni. Un DPCM, come quelli a cui eravamo abituati nella fase acuta della pandemia da Covid-19, stavolta centrato sulla sicurezza energetica italiana. E sull’individuazione di uno “stabilimento di interesse strategico nazionale” oltre ogni dubbio: l’Isab srl di Priolo Gargallo. Cioè, finché la procedura di vendita non sarà terminata, l’Isab-Lukoil. Di cui il cosiddetto “depuratore dei veleni”, che avrebbe immesso nell'aria tonnellate di benzene, è adesso identificato come un “bene strumentale”.

Il Salva Ilva salva anche Isab e IAS

Per ricostruire la genesi di questo Dpcm bisogna tornare al 5 gennaio 2023. Il giorno in cui è stato pubblicato il cosiddetto decreto Salva Ilva, che dà il permesso a Invitalia di investire fino a un miliardo di euro nell’impianto siderurgico di Taranto. Il testo del decreto legge, però, va oltre e stabilisce, all’articolo 6, nuove “disposizioni in materia di sequestro”, intervenendo sul codice di procedura penale. Ed è soprattutto qui che il Salva Ilva smette di essere un provvedimento ad hoc per l’acciaieria pugliese e diventa importante anche per quanto accade, in questi mesi, nel polo petrolchimico tra Priolo Gargallo, Melilli e Augusta, in provincia di Siracusa.

“Quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale – si legge nel decreto di gennaio – ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell'attività”. È qui che si guarda a Priolo e all’impianto di depurazione della IAS (Industria acqua siracusana), una società mista tra pubblico e privato che ha per azionista di maggioranza la Regione Siciliana. Lo stabilimento servirebbe a trattare i reflui dell’industria petrolchimica, ma è sotto sequestro da giugno 2022: secondo la procura di Siracusa, è al centro di un disastro ambientale di cui tutti – i grandi utenti industriali, gli amministratori nominati dal pubblico, i tecnici in servizio nell’impianto – erano a conoscenza.

Un depuratore che avvelenerebbe anziché purificare e nel quale, per il giudice che ha disposto i sigilli, i grandi utenti industriali (Isab Lukoil, Sonatrach, Sasol, Versalis) devono smettere di sversare i propri reflui pericolosi. Il fatto è che uno dei petrolchimici più grandi d’Europa non può restare aperto, senza un impianto di depurazione funzionante. E le autorizzazioni ambientali dei colossi industriali, a cascata, vengono messe in discussione dallo stesso Ministero dell’Ambiente che le ha rilasciate, come raccontato in anteprima da Fanpage.

Il nuovo DPCM

Mentre il Salva Ilva attende di passare attraverso Senato e Camera dei deputati per essere convertito in legge, il governo interviene per identificare, senza ombra di dubbio, quali siano gli stabilimenti di interesse strategico nazionale. E lo fa con un decreto firmato da Meloni e concertato con il ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) e con quello dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase).

Nel DPCM si sottolinea la “rilevanza, sul piano dell’economia nazionale”, dell’impianto di raffinazione di Isab, si ricordano i numeri del petrolchimico (un quinto dei derivati del petrolio d’Italia arrivano dalla provincia di Siracusa, così come il 20 per cento dell’energia elettrica che manda avanti la Sicilia), e i circa mille lavoratori che lavorano direttamente negli stabilimenti ancora di proprietà della russa Lukoil. A cui però vanno aggiunti quelli del resto del polo, in cui ogni industria è indissolubilmente legata all’altra, per un totale di una decina di migliaia di persone.

E se, fino a qualche mese fa, il rischio di chiusura di Isab che veniva contemplato – e raccontato – era solo collegato alle sanzioni contro la Russia e all’embargo dei prodotti petroliferi sovietici, adesso è il governo a mettere nero su bianco che la causa per cui la raffineria potrebbe chiudere i battenti è un’altra. Vale a dire: “Il recente aggravarsi delle problematiche che afferiscono all’impianto di depurazione biologico consortile”. Cioè: IAS spa.

“L’aggravarsi delle problematiche”

Ciò che nel DPCM si definisce “aggravarsi delle problematiche” è un insieme di fattori che derivano tutti dal sequestro del depuratore. Intanto le richieste, formulate a più riprese dall’amministratore giudiziario Antonio Mariolo, di cessazione dei conferimenti da parte dei grandi utenti industriali. Mariolo, arrivato a ottobre dopo la revoca del suo predecessore, ha scritto più volte a Isab, Sasol, Versalis e Sonatrach, intimando loro l’interruzione dello scarico di reflui dagli impianti al depuratore. Come previsto, peraltro, dal giudice per le indagini preliminari nel provvedimento di sequestro.

Poi, sempre in materia di aggravamenti, c’è la questione delle AIA, le autorizzazioni integrate ambientali. Quelle nazionali, degli impianti del petrolchimico, sono in fase di riesame da parte del Ministero dell’Ambiente. Sostiene il Ministero: se il depuratore non depura, come fanno gli stabilimenti a restare aperti? Il riesame delle AIA si sarebbe dovuto concludere all’inizio di gennaio, ma il Mase ha concesso una proroga ai grandi utenti che, adesso, hanno tempo fino all’1 marzo (Versalis, la chimica di Eni) e al 31 dello stesso mese (le altre aziende) per presentare le proprie osservazioni. Anche se, nel frattempo, hanno fatto ricorso al Tar del Lazio.

La Regione Siciliana, dal canto suo, ha sospeso l’AIA – questa, invece, regionale – al depuratore IAS di Priolo Gargallo. Il documento regionale dava all’amministratore giudiziario un mese per adeguare l’impianto e metterlo in condizione di rispettare 58 prescrizioni. Impossibile, secondo Mariolo e i suoi consulenti. Alla scadenza dei termini della sospensione, quando la Regione avrebbe dovuto emettere la revoca dall’autorizzazione (e, quindi, imporre lo spegnimento dell’impianto e dell’intero polo petrolchimico) da Palermo è arrivata una proroga dei termini. Cioè altri 30 giorni di AIA sospesa anziché revocata. A cui, oggi, 6 febbraio 2023, si è aggiunto un ulteriore mese.

Il DPCM non è risolutivo

In queste condizioni, però, il DPCM non è risolutivo. Perché è vero che Isab è così dichiarato stabilimento di interesse strategico nazionale e il depuratore una sua “infrastruttura necessaria”, quindi sottoposta alle medesime tutele. Ed è vero che il decreto di Meloni rimanda a un successivo provvedimento, stavolta interministeriale, le misure per bilanciare la “continuità dell’attività produttiva e la salvaguardia dell’occupazione, della salute e dell’ambiente”, anche in collaborazione con la Regione Siciliana.

Nel depuratore dei veleni, tuttavia, non conferisce solo Isab. Che non è né l’unica raffineria né l’unica azienda produttrice di energia del petrolchimico. Con l’annunciata vendita di Isab, è venuta meno la necessità di “salvare” lo stabilimento, proteggendolo dall’embargo al petrolio russo e dalle sanzioni internazionali contro il governo di Putin. Il DPCM ha, dunque, come principale esito pratico quello di equiparare lo status del depuratore a quello di uno stabilimento di interesse strategico nazionale, permettendogli di continuare l'attività anche in caso di sequestro. Applicando, cioè, il Salva Ilva anche a Ias.

Con il decreto firmato da Meloni, però, si legano le sorti di Ias a quelle di Isab. Come se il depuratore fosse necessario solo per la raffineria russa. Quando, invece, è indispensabile anche per gli altri stabilimenti della zona. Per chiarire ancora meglio: se Isab è uno stabilimento di interesse strategico nazionale, perché non lo è anche la raffineria algerina di Sonatrach? Che, pure, conferisce in IAS e rischia di chiudere i battenti. La domanda che resta, quindi, è se IAS potrà continuare a lavorare limitatamente ai conferimenti di Isab o se, invece, potrà accogliere i reflui di tutte le aziende. E se anche le altre saranno dichiarate in futuro, per decreto, importanti al pari di Isab.

Ancora una volta, perciò, la partita non è chiusa. E tanto il governo nazionale quanto quello regionale della Sicilia dovranno continuare a occuparsi del petrolchimico. In una continua corsa contro il tempo per mantenere operativo un impianto, quello di depurazione, che ormai da tempo non avrebbe più alcuna autorizzazione per esserlo.

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