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Ex sarta Max Mara racconta: “Ritmi folli e umiliazioni, potevamo andare in bagno solo al suono della sirena”

Il racconto di Chiara, una sarta che per un anno ha lavorato per Max Mara, colosso del made in Italy e del lusso nel settore dell’abbigliamento, e poi ha scelto di andarsene per le dure condizioni imposte dall’azienda. Per lo stesso motivo nei mesi scorsi le dipendenti hanno deciso di scioperare. La protesta contro “rigidità organizzativa e pressioni individuali”.
A cura di Eleonora Panseri
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Immagine di repertorio.
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"Le persone lì non sono abituate a lavorare come esseri umani, ma come macchine. Ricordo di colleghe che venivano umiliate perché chiedevano di poter restare in contatto con i figli piccoli che erano malati. Gli rispondevano:'Tu, se hai un bambino, non puoi venire a lavorare qui'".

Inizia così il racconto di Chiara, una sarta che per un anno ha lavorato per Max Mara, colosso del made in Italy e del lusso nel settore dell'abbigliamento, e poi ha scelto di andarsene per le dure condizioni imposte dall'azienda. 

Per lo stesso motivo nei mesi scorsi le dipendenti del polo di Reggio Emilia hanno deciso di scioperare, proprio per protestare contro "condizioni di lavoro inaccettabili, rigidità organizzativa, pressioni individuali e usura fisica".

Oltre alla pressione sulla vita privata e sulla salute, le dipendenti hanno lamentato anche un mancato riconoscimento economico e dei passaggi di livello, oltre che una scarsa disponibilità al confronto con le rappresentanze sindacali.

Chiara ha raccontato la sua esperienza in una lunga intervista a La Stampa: "Sono entrata con una sorta di formazione gratuita. Durava 3 settimane, un periodo in cui non ero produttiva. Questo è il modo in cui reclutano. Poi, tramite le agenzie interinali, fanno contratti di tre mesi che possono essere rinnovati o meno".

La donna ha ricordato anche il clima che si respirava in azienda quando lavorava lì. "Mi sono resa conto in fretta che il sistema è pensato per farti andare gradualmente sempre più veloce, e ancora più veloce, e ancora e ancora. I tempi li definiscono loro", ricorda.

"C'è proprio un vero e proprio cronometro che misura la tua produttività e la traduce in percentuali", aggiunge. E poi spiega: "Al termine del turno, si stima in percentuale quanto hai prodotto rispetto a un obiettivo. Per esempio, un giorno potresti raggiungere la soglia e ti viene riconosciuto il 100%. Se stai sotto, marca, non so, il 70% o il 75%".

E se per più giorni non si raggiunge l'obiettivo? Chiara risponde così: "Si viene chiamati in direzione per una reprimenda, come a scuola. Se hai un contratto a tempo determinato, allora non ti viene rinnovato".

All'epoca per la sarta era una delle prime esperienze lavorative, per questo aveva deciso di provarci e di mettersi in gioco. "Ma ricordo che c'erano altre mie colleghe, con dei figli piccoli, che avevano per esempio esigenza di seguirli quando erano ammalati, o accompagnarli a scuola. Sono state lasciate a casa praticamente subito".

E lo stesso accadeva per le ragazze che restavano incinte, ha spiegato ancora. Alcune lavoratrici hanno raccontato di aver ricevuto insulti, di essere state chiamate "mucche da mungere".

Chiara dice di non essere mai stata insultata e di essere sempre stata trattata con un "approccio gentile". "Ciò non toglie che l'ambiente che ho vissuto fosse molto duro", precisa. Dopo un anno di lavoro in Max Mara, ha deciso di aprire una sua sartoria e di seguire la strada dell'insegnamento.

"Attraverso il mio lavoro di insegnante ho rapporti con molte aziende tessili in Emilia e posso dire, senza dubbio, che si parla spesso male delle aziende cinesi ma Max Mara è molto peggio", commenta.

Chiara ricorda che dal momento in cui alle 8 si timbrava il cartellino, non erano permesse pause straordinarie: "Non si può tenere con sé il cellulare e non si può andare in bagno. Alla toilette si poteva andare solamente al suono della sirena che segnava l'inizio della pausa concordata e ovviamente poi era difficile entrare perché era affollata".

Se qualcuna fosse andata in bagno quando non era permesso, era un problema perché, racconta ancora l'ex sarta, "andava a discapito della produttività, e ritorniamo allo stesso calcolo e agli stessi provvedimenti di quando si restava sotto ai tempi assegnati dal cronometro".

Chiara dice di aver avuto degli "attacchi d'ansia" a causa dei ritmi e della rigidità vissuta in azienda. L'intervista si conclude con il ricordo di un momento molto duro: "Avrebbero discusso questioni come la durata delle pause pranzo e dei turni di lavoro. Avrei voluto esserci anch'io, ma la direzione ha proibito di partecipare a chi come me aveva un contratto a termine".

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