Due preti condannati per truffa: avevano convinto un fedele a sborsare 40mila euro

Quando padre Angelico nel 2010 gli aveva parlato di una grossa donazione da 200 milioni di euro di una nobildonna romana bloccata perché la Curia non aveva a disposizione i soldi necessari per le spese notarili, lui aveva messo mano al portafogli e aveva prestato di tasca propria 40mila euro per aiutare la chiesa e darle la possibilità, dunque, di compiere opere di bene con quella eredità. I suoi soldi erano stati incassati in parte da padre Angelico e in parte da un altro religioso. Soldi che però a quel fedele – si tratta di un insegnante di musica di 55 anni di Trento – non sono mai più stati restituiti. La vicenda che arriva dal Veneto, riportata dalle cronache locali, è così finita in tribunale e i due preti sono stati condannati a un anno e nove mesi di carcere ciascuno per il reato di truffa pluriaggravata in concorso. I protagonisti della vicenda sono sacerdoti che, per le proprie esperienze di vita e professionali, sono in qualche modo entrambi già noti. Si tratta di padre Angelico, al secolo Bruno Merlin, 75enne padovano, Superiore del convento dei Canossiani di Monfumo, e di Giovanni Sonda, 78 anni, ex capo ufficio della Congregazione dei Vescovi, oggi trasferito alla diocesi di Vicenza.
L’eredità promessa all’insegnante non esisteva – Nel corso del processo è emerso che la storia dell’eredità della nobildonna romana raccontata all’insegnante devoto era falsa e che dunque il prof era stato ingannato dai due religiosi. Padre Angelico e l’insegnante truffato avevano avuto modo di conoscersi negli anni in cui il canossiano aveva prestato servizio a Trento, dove il musicista ha diretto il coro parrocchiale. Il religioso, secondo l’accusa, sfruttando la fede dell’insegnante lo aveva contattato raccontandogli di questa presunta eredità che per essere sbloccata richiedeva costose pratiche notarili. L’insegnante, che riponeva la sua fiducia nel prete, si era dunque messo a disposizione e in varie tranche aveva inviato 40 mila euro che, questi erano gli accordi, gli sarebbero stati restituiti all’arrivo dell’eredità.